sabato 9 maggio 2015

Della rinascita

E sarà pure che non ho ancora attraversato le fasi del lutto in toto che già sto parlando di rinascita.
Ma come sopravvivere ad un progetto abortito, ad un sogno infranto, ad una gemma sottomessa dalla prima grandine primaverile?
Che fare.
E rimane un bell' universo di "se" di "ma" di "però".

Illuminazioni Rimbaudiane.
Inferni Baudelairiani.

O come cazzo si scrive.

Alle volte credo che tanta parte del nostro lutto, dell'accettazione di un fallimento, sia in realtà la reiterazione (più che una esperienza vitale) di una sorta di sterile modello di educazione sentimentale flaubertiano, non la cosa in sè, non così chiaro e diretto ma molto più esteso,diluito,
infingardo,
 -il dito e la luna -,
nascosto in tante storie contenute dalla letteratura.

Ecco, se non fossimo animali che leggono,
sapremmo come affrontare cotal situazione?
O meglio: ci comporteremmo così, se non fossimo letterati?

Perchè siamo tutti parlati, e non parliamo,
come diceva non ricordo chi.

Perciò, cosa ci rimane di puramente, veramente genuino, nell' affrontare un dolore?
Di umano, animale, di profondo e sincero.

Chè una costante mediazione metafisica dell'esistere ci condanna a pensarci e a ridefinirci in nuovi canoni, che è bene per quasi tutto, tranne che per le poche cose che avremmo, forse, bisogno di vivere istintualmente.

Il positivismo è una piaga che dona prospettive razionali, escapologiche ed escatologiche, grande e panoramica nel suo distinguere e ordinare; e toglie calore "cosale" all' ente noumenico di ciò che in realtà siamo.

Divisi fra natura ontologia e deontologica in senso kantiano.

Che ci rimane, se non il compassato lamento letterario, educato, raziocinante del civile?

Nemmeno l'uomo, in quel civile.

Non siamo forse liberi nemmeno di disperarci e piangere, dissolverci in quella catarsi che ci spetterebbe di diritto.

Se fossi un animale, vorrei poter piangere.
Piangere davvero, come si faceva da bambini piccolissimi.

Piangere, purificarmi in quelle lacrime.

Sfogare, sfogare, non abbrutirmi in sostanze e tranelli razionali, non creare artificiosi appigli di "se" e di "ma" come quindici anni di scolarizzazione mi costringono a fare.

Rinascere, forse, potrebbe essere possibile anche adesso.

Lasciarmi essere, animalmente, triste per questa perdita.
Senza dovermi perforza confrontare con essa, semplicemente accettandola.
Senza giustificazioni.


Il  problema è che so,
una volta di più,

che è ancora la ragione educata a parlare per me.

domenica 29 giugno 2014

Allegoria \ Tra lei e lei

Nel mezzo della conversazione, pensò che era il caso di lasciar perdere.
Conversare, poi, cosa significa veramente?
A parte il mero scambio di informazioni funzionali, intendo, quali <<serve lo zucchero>>, <<gira a destra>>, <<ti cercava Paolo>>, quando è che veramente si ascoltano le ragioni dell'altro, si comprendono, si cerca di interagire col suo sentito?
Forse, se accade tre volte in una intera vita è tanto, ma non per cattiveria, per i limiti umani.
Perciò decise di sbrigarsela dicendo semplicemente “hai ragione sotto tutti i punti”, e di andarsene quanto prima da quell'errore di traduzione.
La verità, se mai ne esiste una univoca anche per il singolo, che è ogni giorno abitato da diverse personalità, è che quel che aveva dentro doveva perforza tenerselo.
Così tagliò corto, e dopo aver messo velocemente il cappotto, con un falso sorriso di ringraziamento sulle labbra, uscì nella pioggia.
Era estate, piena estate, ma le temperature erano molto basse, quasi autunnali, a causa del lungo periodo di maltempo che perdurava da ormai due mesi.
Camminava lentamente con lo sguardo rivolto al porfido del marciapiede, senza tuttavia vederlo.
Si rendeva conto che la libertà è una cosa che nessun uomo può abbracciare completamente, veramente, e si sentiva schiacciare da questa idea: cos'è la libertà, se persino la persona più cara e più vicina può venire a dirti che non sei libero di essere te stesso nemmeno in sua compagnia. Cos'è, se poi “l' uomo non è un' isola”, e pertanto è costretto alle dinamiche sociali?
Cos'è, se neppure nell'angolo più intimo del suo sé, percepiva che neanche con il pennello tra le dita poteva accarezzarla?
Difficile, difficile, inghiottire la saliva con tale nodo in gola.
Tante incomprensioni.
La storia dei dialoghi dell'uomo, dalla nascita della prima parola in poi, è fatta di fortuite coincidenze nella traduzione di lessemi.
“Parliamone”, perchè mai?
Di cosa possiamo parlare, veramente?
Con quale grado di padronanza dell'argomento?
E tutto diveniva confuso, ancor più nebbioso e guizzante, nella sua testa.
Provò a sedersi su una panchina umida, sotto un albero, per accendersi una sigaretta.
Il fumo procurava una certa consolazione, in quei momenti.
Mentre osservava le volute di fumo allontanarsi, ripensava alla discussione appena avuta e ripassava vagamente alcune nozioni di filosofia che avrebbero potuto emergere da essa.

Volontà di potenza.
Piacere misurato.
L'esistenza è piacere.
La democrazia non è mai esistita.
La società dello spettacolo.
La società delle ideologie.
Percezione del sé.
Critica al capitalismo.
I regimi totalitari.
I regimi totalitari morbidi.
Il libero pensiero.

Una piccola parte del suo cervello era intento ad esaminare la possibilità che, essendo tutto un gioco di scatole cinesi, forse e per davvero il punto di vista può cambiare intere porzioni della storia umana.
Si chiedeva se fosse possibile, come ritengono certe culture, che effettivamente non siamo noi i sognatori, ma siamo sognati dal sogno.
In che direzione vanno, tutte queste affermazioni che ogni giorno l'essere umano produce?
Scienza, cultura, antropologia, spiritualità, economia, finanza, arti, società, politica...dove vanno?
Cosa delineano?
E perchè tutti cercano di sbrigarsi per arrivare lì più in fretta?

L'inseguimento dell'ignoranza è l'unica cosa che emerge chiaramente da questa serie.
Certo non si persegue la conoscenza, che è talmente poca.
Si insegue l'ignoranza, sicuramente, per affrontarla e diminuirla.
Come se ci fosse una finitezza, in questo.
Come se un domani un uomo infinitamente saggio, dopo il caffè mattutino, penserà l'ultimo pensiero pensabile, distruggendo così l' ultimo atomo di ignoranza rimasto.

Avverrà mai?
Non credo.
Non ascoltare il mondo, mi dicono, autodeterminati.
E come? Non potrei mai farlo, perchè avrei per strumenti chirurgici solo quelli che ho imparato dal mondo attorno a me.
Come potrei inventarmi una lingua solo mia, in cui parlare solo a me, poter pensare cose solo mie?
Puramente mie?
Non posso.
Non si può.
Il peccato (del pensiero) originale, tanto da dover maledire una intera specie per sempre.
Ma fino a qualche tempo fa, l'aveva pure intravista, la sua strada. Sapeva in che direzione andare.
Che ne era stato di quella visione?

E' che poi accade la vita, suppongo.
Le cose non sono andate esattamente come pianificato.
-Ma non avevi detto di non avere altra scelta che percorrere quella strada?
-Sono stanca. Non so se mi interessa più. Certamente ho più frustrazioni e malessere da quel che ho sempre creduto di amare, di riconoscere, piuttosto che ricavarne gratitudine quando lo pratico.
Si alzò un vento forte e fastidioso, freddo, da ovest.
Con l'espressione seccata, si rimise in cammino, senza avere alcuna meta.
Intanto, la sua testa pesava i passi giudicandoli molto simili all'esistenza umana, diretta verso non si sa bene cosa e perchè, costretta, per avanzare, a perdere ogni volta l'equilibrio, la certezza storica e politica, sociale.

Che poi, anche sull' “avanzare” ci sarebbe da ridire.
Il tempo lineare è una invenzione tanto giudiaco-cristiana che scientifica, una convenzione relativa esclusivamente alla nostra condizione esistenziale.

Sospirò malinconicamente, mentre guardando secchi rami si sentiva un quadro di Friedrich.
Qualche passo dopo, si rese conto d' essere tornata sulla stradina di sassi che conduceva a casa, e guardando in lontananza i muri grigi della stessa, realizzò che non avrebbe potuto scappare.
Mai.
Da sé stessa, dalla sua storia, dal punto nello spaziotempo che l'evento della sua nascita aveva disposto per lei -ovvio, senza alcuna volontà personale: il Fato non centra-, dal suo malessere e dai suoi stessi pensieri.
Non avrebbe potuto scappare, né affrontarli, perchè non erano demoni.
Non avrebbe imparato ad accettarli, perchè dissonavano troppo, nel momento in cui riconosceva le loro stonature nel regno dei suoni che è la vita.
Che fare?

Se l'aveste vista dalla finestra del piano superiore della sua casa, avreste potuto osservare la sua figura invecchiare a vista d'occhio nel corso di qualche minuto, le spalle scendere in avanti, la schiena curvarsi, il volto indurirsi, gli occhi spegnersi.
Poi, con passi lenti e stanchi, l'avreste guardata mentre si incamminava verso casa, e avreste saputo che sì, non potendo fare nulla,
non avrebbe fatto nulla.


martedì 10 giugno 2014

L' Altro

Quanto poteva dire di conoscerlo?
Bene, benissimo, assolutamente per nulla?
Se ne stava lì, seduto di fronte a lui, guardandolo con una faccia tra il disgustato e il beffardo.
Era incassato malamente sulla sedia coi braccioli, dall'altro capo di un tavolino che era un cimitero di bicchieri svuotati.
Aveva i capelli sporchi, unti, aggrovigliati, la pelle grigia e tesa, una espressione di odio rabbioso in faccia, e stava immobile a fissarlo.

Che cazzo vuole quello.
Che cazzo guarda.
Soprattutto, chi cazzo è.

Abbassa lo sguardo sul tavolo, si fissa le mani nodose.

Non doveva andare così, non doveva succedere.
Non era questo che volevo, ho cercato di evitarlo con tutte le mie forze, eppure è successo.
Non è giusto.

Un senso di fuoco e acciaio gli riempie il petto, ha una caldera al posto dello sterno, e lui sa, lo sente, che non potrà contenerla ancora per molto.
La morsa lo attanaglia ferocemente come l' impietoso artiglio di un rapace divino, che non ha niente di terrestre, e non potrà mai comprendere altro se non il capriccio della sua volontà, e stringe, stringe, con gioia crudele.
I pensieri turbinano come rapide di bruciante metallo fuso.
No, nessun corpo può resistere a tanta violenza emotiva.
Il suo piccolo cuore ha cercato di resistere, ma è ormai allo strenuo delle forze.
Abbandonarsi all'ignoto dell'annientamento totale, quella sarebbe la pace, finalmente.

Non potevo fare più di così.
Io lo volevo.
Ho fatto veramente
Tutto
Ho cercato di raggiungere quella meta, quella meta, quella meta...

Ora anche il respiro si sta facendo difficile.
Perchè, diomio, quanto possono essere profondi e immani i pozzi di un' anima!
Resistere, non gli importa più.

E allora tracanna un'altra sorsata di quell'intruglio maledetto che gli spacca lo stomaco,
sperando di trovare almeno un istante di intorpidimento nel prolungato preliminare al suicidio.

Invece no, quella scende e crea solo nuove ondate di odio.

Perchè.
Ho fallito, fallito, fallito.
Perchè.
Luce di illusioni.
Non voglio più dormire, non voglio più guardare le stelle, non voglio più niente.
Forse
bruciare all'inferno, questo voglio.

Lo sguardo è appannato, ma è una lama di diamante che perfora i veli della realtà.
Ha capito, certo, ma a che costo?
A che serve, poi, capire.
Cerca di non respirare, e alza gli occhi al soffitto.

L' Altro è ancora lì, sempre più ammuffito, e marcio, e malevolo.
Sta di fronte a lui, come una macchia di nero biasimo.
Lo fissa, lo deride.
Lo seziona con odio cieco.
Sempre più curvo e sciolto sulla sedia sghemba, lo guarda con quei due feroci buchi di nulla che ha al posto degli occhi.
Ah, lo si vede distintamente, il biasimo.
L'Altro sa che è colpa sua.
E' colpa sua e lo perseguiterà.

Che cazzo ha da guardare.

“Che cazzo hai da guardare, Cristo!”

L'altro, per sfotterlo, muove le labbra senza emettere un suono, poi lo guarda stralunato come se non avesse capito una parola di quel che lui gli ha detto.
La voce era già rotta, disperata, schizofrenica.
D'altronde, da un petto fatto di cavità oscure e coltelli di vetro, che voce poteva mai uscire?

Ma l'Altro sta in silenzio, e ricambia lo sguardo inquisitorio.
Passano lunghi minuti senza che nulla cambi.
A parte il sentimento di malessere di lui.

L'ubriachezza è già oltre la soglia di controllo, ed è una bestia cattiva.
Lui guarda il suo bicchiere vuoto riempirsi di liquido versato dall'altro suo braccio, senza che egli abbia avuto nemmeno il tempo di desiderarne.
Ormai è automatico,
stiamo bevendo per morire.

E pensare che avevo investito i miei anni migliori.
Ci avevo creduto.
Eccome se ci avevo creduto, era tutto quello che volevo.
Ho incessantemente sottoposto me stesso ad esercizi di volontà, per migliorare.
Per essere degno.
Quanto, quanto, quanto lavorìo indefesso dell'anima e del cervello, per raggiungere lo scopo.
E ho fallito così miseramente.

Scivolato nuovamente nel gorgo dei pensieri melmosi e acidi, egli passa interminabili attimi a fissare il fondo di un bicchiere che è come una baia in preda alla tempesta, che si svuota e riempie della rabbia dei marosi in pochi secondi.
Poi si ricorda dell' Altro, e solleva gli occhi per controllarlo.

E l' Altro è ancora lì, a fissarlo con quello sguardo così irritante, che gli ricorda di aver fallito miseramente. “Povero scemo”, sembrano dire i suoi occhi odiosi, “povero scarto reietto dell'umanità”.
Lui sente i suoi occhi ingrandirsi di odio cieco, e fissa l' Altro cercando di ucciderlo violentemente con lo sguardo.

Quanto cazzo ti odio.
Chi sei?
Che cazzo vuoi?
Merda!
Io ti uccido, merda!!

Gli si contraggono le mandibole, il suo stomaco si mette a lanciare fulmini e la sua testa si riempie di sangue acido e bollente.
Sente che sta per scoppiare.
Chi è mai questo fantoccio osceno che ha davanti, che lo deride crudelmente?

Pure, egli si accorge che l' Altro non è affatto sciocco o gratuito, nella sua derisione.
E' crudele. Per magico dono, l' Altro riesce a seguire i moti della sua anima per beffeggiarlo meglio.

E i due rimangono a fissarsi per lunghi minuti, di nuovo, con odio cieco e omicida.

Ma il bicchiere è vuoto, e Lui sente il bisogno di affogare nella peggior sostanza che possa esistere, non per espiare, ma per soffrire.
E ne versa, inasprito dall'atteggiamento dell' Altro, altri cinque, sette, nove bicchieri.

Ancora, fiumi di detriti e intime delicatezze che si infrangono con potenza deflagrante sul muro della sconfitta.
Lui sta sudando, sente il fegato pungere senza sosta, vorrebbe strapparsi i capelli e poi grattare, scavare nelle ferite con le unghie, fino a raggiungersi il cranio, e poi frantumarlo stringendo polso contro polso.
Lentamente, in modo da soffrire di più.

Come cazzo è potuto succedere, come ho potuto crederci, come ho potuto crederci, come ho potuto fidarmi, come...come...
Eppure ero certo che sarebbe stata la mia Vita, ero certo che fosse vero, che fosse la fortuna più grande d'ogni Uomo che sia mai esistito sulla Terra, e che fosse capitato a me, miracolo, e io avevo lavorato così duramente per esserne all'altezza, perchè sapevo che poteva esistere, e invece mi sbagliavo, dio, quanto sbagliavo, come ho potuto essere così stupido,
stupido,
stupido!

La bottiglia non urina più il suo veleno.
Lui riesce a far tanto, nella sua condizione delirante, di ordinarne bestemmiando un'altra.
Il veleno riempie di nuovo il bicchiere, che senza posa si svuota.
La sua testa ormai farfuglia solo atrocità insensate, e partorisce immagini di grottesche e ininventate torture per punirlo, o compiacerlo.

Sbavando, senza riuscire a controllare i movimenti della testa, lui alza appena un po' lo sguardo, e vede l' Altro che nel frattempo non ha smesso un solo istante di scimmiottarlo.
Ora la sua faccia sembra una collezione di secrezioni gastriche, odiosa e malvagia, piena d'odio forsennato, che gli risponde con lo sguardo vuoto.
L' Altro, bisogna ammetterlo, ha un certo talento mimico: sta piegato sul tavolino, sbavando come Lui, e continua a deriderlo senza posa.
E' un manichino della pazzia, un congegno diabolico, un guscio svuotato e riempito di ogni cosa spregevole e perfida.
Lo sbeffeggia senza mai smettere, è nato per quello.
Lui cerca di riguadagnare un momento di lucidità, senza risultato.

Ti odio.
Quanto ti odio.
Ti uccido. Tanto non ho nulla, non ho mai avuto nulla, me ne sono solo stupidamente illuso per un periodo.
Io non ho mai avuto nulla, mi stava solo mentendo.
Non aveva mai avuto serie intenzioni.
Che ho da perdere?

“Pezzo di merda schifoso, io ti uccido!
Ti ammazzo, ti sbudello, ti squarto e mi lecco le dita sozze delle tue interiora!
Ti spacco il cranio a sassate!
Maledetto, ti strappo la lingua a morsi!
Ti cavo gli occhi per darli ai corvi,
Ti estirpo la spina dorsale e me ne faccio un flauto!”

Solo allora si rese conto di urlare contro l'Altro, che stava in piedi come lui dall'altra parte del tavolo.
Stava urlando a perdifiato, sentiva la voce uscirgli dalla bocca impastata come una lama spezzata e ruvida, gli tuonava fin nello stomaco e gli premeva i bulbi oculari.

L' Altro, per risposta, non faceva che ripetere ogni azione di Lui, come un burattino malefico che inscenasse un dramma inutile.

“Io ti sgozzo, ti odio! Ti odio!”

Ormai definitivamente perduto, Lui raccolse tutta la forza esacerbata e nervosa che aveva in corpo, e si lanciò contro l'Altro con tutta la violenza che il suo corpo gli permetteva, per prenderlo a testate.

Colpiva, colpiva ciecamente, e vedeva stelle e forme colorate stagliarsi contro un buio doloroso, e non riusciva a smettere. Colpiva, affondava, e sentiva un odio senza fine, sentiva il sangue gocciolare e il dolore crepitare come fuoco, e allora ci dava dentro ancor di più, e sbatteva con tutta la violenza che aveva dentro, con tutta la disillusione che gli aveva squassato il petto, sfogava tutta l'amarezza del fallimento, della sua ingenuità, la vergogna dell'aver creduto.
E con forza inverosimile sbatteva, sbatteva, sbatteva la testa dell'Altro contro la sua, con un odio senza fine, mai sazio, mai più placabile.


Quando arrivò l'ambulanza, chiamata dal barista, quello che i medici trovarono fu un uomo con la testa sfracellata, materia cerebrale sparsa ovunque sul pavimento
e sullo specchio cui l'uomo era seduto di fronte.


sabato 7 dicembre 2013

Un pomeriggio

Di qua!”, urlò la donna con voce argentina.
Correva tra la selva verdissima orientandosi alla perfezione, io ne seguivo la voce perchè tutto quello che potevo vedere erano porzioni delle sue gambe nude lampeggiare tra le radici contorte degli alberi.
Siamo quasi arrivate!”.Si fermò al limitare di una piccola radura, muri verdi protesi verso un cielo bianco di luce, odore di muffa e di stantio, verde, odore di verde. Facendo qualche altro passo mi indicò un punto al margine estremo dello spazio e vidi una carcassa di qualche quadrupede, probabilmente un cane.

Lidia, perchè mi hai portato qui? Questa discussione non potevamo farla a casa? Davanti a un bicchiere di vino, magari”.Assolutamente no”, disse lei accosciandosi sui suoi pantaloncini cortissimi, lo zaino minuscolo fra le mani,
e quanto al vino l'ho portato io, e pure i bicchieri. E siccome sono la tua amica preferita e ti conosco bene, ho portato pure i fuochi d'artificio”, disse con un sorriso malizioso, mostrandomi una busta d'erba che aveva in una delle tasche della borsa.Presi la busta d'erba e cominciai a girare una canna, avvicinandomi lentamente al cadavere.Ah, Porter. Era un cane simpatico. Dovremmo seppellirlo, e poi dirlo a Mary. Le spiacerà davvero tanto”.Tutti ci dispiacciamo per la morte. Per la morte di un animale in particolare”.

Lidia stava seduta su una roccia muschiosa, e guardava assorta i resti del cane, due bicchieri di vino nella mano destra. Tornai da lei e mi sedetti ai suoi piedi, prendendone uno dei due.
Mi sorrise. Biondissima e senza trucco dimostrava quasi la metà dei suoi trent'anni.
Sorseggiammo in silenzio, poi riposi il bicchiere su un tronco mentre accendevo la canna.
Aspirai profondamente.
Allora, che mi devi dire? Mi hai portato qui solo per Porter?”No, certo che no. Porter è stato incidentale. Ti ho portato qui per parlare un po' più liberamente di come faremmo se quella stronza della tua inquilina non girasse sempre per casa a ficcanasare. Porter però potrebbe essere un importante spunto di conversazione”.
Mi sfuggì una smorfia, sapevo che Lidia non aveva nessuna simpatia per la mia coinquilina, ma da qui a chiamarla stronza...oddio, era pur vero che origliare era un suo brutto difetto.
Momento di silenzio, altra boccata.
Sentivo l'erba bruciarmi piacevolmente in gola, come un fresco liquore frizzante.
Sentivo anche il sangue sciogliersi piano piano, scorrere di nuovo al suo ritmo normale nelle vene.
Dopo anni di assuefazione, paradossalmente ero più me stessa e più lucida quando avevo fumato piuttosto che da sobria. Passai lentamente la canna a Lidia, mentre affondavo gli occhi nella vegetazione.
Quanti strati...quanti strati di foglie, di rami, di sterpaglia, di verdemarronearanciocrarossonerogrigio, di forme, di volumi. Cazzo, è un mosaico intricatissimo”.
Lo dissi a voce alta, dando fiato ad un pensiero, senza nemmeno accorgermene.
Lidia scoppiò a ridere.
Che cazzo ridi, scema!”, ma stavo già ridendo pure io.
Mi diede una leggera pacca sulla spalla, tra il canzonatorio e l'affettuoso, la canna tra le labbra e i capelli illuminati dal sole, come se fossero un' aureola.
“ Sapevo che avresti detto una cosa simile prima o dopo. Scommetto anche che stavi per tirare fuori una analogia col mondo dell'informatica. Tipo che tutti quegli strati sono come stringhe, e ogni singolo oggetto che li compone bit di informazione.
Non è così?...Ah ah ah ah! E' così, è così!”
Ed era vero, lo stavo pensando veramente. Lidia continuava a ridere, si fermò solo qualche istante dopo per riattaccarsi al bicchiere porgendomi di nuovo la canna.
E' vero. Va bene, lo sai che ho una testa che funziona a modo suo, che ci posso fare”.Ma a me piace. Voglio dire, per quanto le tue idee siano strampalate mi piace come vedi il mondo. Alle volte penso alle cose come potresti pensarci tu, e mi sembra che acquisiscano una oggettività diversa”.Dai, non mi sfottere”.No, davvero. Ti ricordi quando parlavamo della sinestesia? Da quando l'abbiamo fatto non penso più, per esempio”, alzò il bicchiere verso il sole, e il vino divenne una coppa di sangue fluorescente, “che sto bevendo del vino. Ci sento il rosso, dentro. Il rosso cupo, quasi nero. D'improvviso ha il sapore dei temporali, e i temporali sono quelli di terre lontane, orientali, e immagino la stessa nuvola gravida di nero e di rosso scaricarsi in mezzo al deserto, dove donne velate dagli occhi neri come la notte si rifugiano nelle loro case di sabbia, case profumate di spezie grezze e tinture per tessuti preziosi. E' bellissimo...ogni sorso è un mondo.”
La guardai stupita, espirando.
Diamine Lidia, fumare non ti fa mica bene sai?”
E giù a ridere.
Ripresi il discorso: “la sinestesia è uno dei modi più naturali per vedere il mondo, secondo me.
E intendo proprio vedere, non guardare. L'accostamento e l'analogia ad un livello così stretto permettono di strutturare e incrociare sapere ed esperienza, trasformandole in una tessitura interiore...dov'è la busta? Ah ecco...dicevo?...tessitura interiore che non ha niente a che vedere con la nozione ma con il vissuto. E' più naturale.”
E' come quando impari sognando.”Sì. Sì è così.”
Ancora silenzio.
Lidia si era di nuovo assorta guardando un cespuglio poco distante, attorno al quale volteggiavano delle minuscole farfalline multicolore.
Mi misi a rollare un'altra canna, e quasi accecata dalla luce intensa che in quel momento scendeva dritta sul mio capo, socchiusi gli occhi. Annullato un solo istante il senso della vista, mi travolse il rumore dell'ambiente.
Vento leggero tra le foglie, uccelli d'intorno, il ronzio delle mosche sul cadavere di Porter.
Di nuovo quella sensazione di stratificazione. Livelli su livelli, tridimensionalità crudele e inafferrabile. Provai un momento di fastidiosa vertigine, per cui mi spostai in un angolo più ombreggiato.
Accesi la canna.
Quattro tiri a pieni polmoni, altro bicchiere di vino in scivolata.
Ne girai automaticamente un'altra che porsi a Lidia, che nel frattempo era scesa dalla roccia per stendersi all'ombra, vicino al cespuglio con le farfalle. Era totalmente rapita da esse.
Rimanemmo così per qualche altro minuto, senza nessun imbarazzo per il silenzio.
Sapevo che anche lei come me stava ascoltando i rumori.
Forse stava pensando a quello che pensavo io, agli strati.
O forse stava cercando di indovinare quello a cui pensavo.
Mi sorpresi a fissare un punto distante nel bosco, da diverso tempo ormai, mentre con un pigro e finto sesto senso cercavo di percepire Lidia stesa poco distante.
Ma stava scivolando via tutto, la mia amica mi pareva un'isola distantissima nel tempo e nello spazio, e perdersi sembrava piacevole.
Mi immersi in quella sensazione. Non era perdersi, era...era qualcos'altro...era...verde.
Stormire delle foglie.
Adesso sentivo chiaramente anche un ruscello, probabilmente nelle nostre prossimità, che mormorava qualcosa alle pietre sulle quali scorreva.
Forse pregava, o forse le stava rimproverando.
O forse ancora stava recitando il suo monologo senza preoccuparsi di loro.
Siamo...siamo alieni?”
La voce di Lidia era terrosa e sorda, mi giunse da lontano.
Eh?”Siamo alieni?” si rimise a sedere, a gambe incrociate.
Non so perchè ma pensai fugacemente che aveva un ventre perfetto per ospitare un bimbo.
Che vuol dire?”Alieni. Diversi. Provenienti da mondi diversi. Diversi tra di noi, e mai totalmente comprensibili a noi stessi e agli altri. Siamo di fuori intendo, stranieri? Siamo...separati?”
Corrugai la fronte, che mi parve fatta di catene montuose.
Mi guardai le mani come se non fossero le mie, cercando di capire il senso della domanda della mia amica.
Guardai lei. Era diventata una statua di sale, un Buddha dei boschi, ma con l'aria inquisitoria e un po' preoccupata. Espirava il fumo dal naso.
Scossi la testa cercando di ritornare un po' in me, mi sentivo completamente sparsa nell'ambiente.
Forse non ero poi così padrona di me stessa.
Lidia era immobile e mi bucava con gli occhi.
Ero la sua ancora, probabilmente anche lei sentiva di stare sciogliendosi.
Solo quando finii il discorso mi resi conto che l'avevo detto proprio io, con la voce roca e atona:
Certo che lo siamo. Siamo figli delle stelle, noi. Letteralmente. Le molecole che formano il nostro corpo si sono costituite da residui di polvere cosmica, da detriti di impatti di corpi celesti, da sostanze chimiche provenienti dallo spazio esterno che poi in miliardi di anni si sono combinate in maniera più o meno casuale fino a costituire quello che siamo noi. Non solo noi, tutto il nostro pianeta. Cerchiamo dio nei cieli, esattamente da dove veniamo noi. Ironico.
La Terra è un' astronave.
Tutto quello che contiene, animali, piante, uomini, pietre, tutto è nato da quello.
A guardare bene siamo fratelli anche dei sassi. Siamo un tutt' uno.
Vibriamo dello stesso tipo di elettromagnetismo delle cose inerti, a frequenze differenti magari, ma è lo stesso. Mai sentito parlare della teoria dei campi morfogenetici? Sai, quella che dice che ogni idea ha una sua frequenza specifica, e che ogni cervello può sintonizzarsi su quella frequenza e ricevere quell' idea. Questo spiegherebbe perchè, ad esempio, due scienziati che non si conoscono e che abitano a migliaia di chilometri di distanza raggiungono la stessa invenzione a distanza di qualche giorno. Non se ne parla, ma succede molto più spesso di quello che potremmo immaginare. Pensa solo a questo, e ti rendi conto di quanto siamo collegati. E sì, siamo alieni. Siamo separati da ben poco però. L'idea di separazione stessa è solo ad uso e consumo di chi vuole differenziare o definire i poteri. Tutti siamo un Tutto. Anche Porter.
Porter era nostro fratello, Lidia.
Siamo alieni, e siamo una sola cosa.
E pensa un po', il dio che andiamo cercando non è altro che le nostre stesse origini. Siamo noi quel dio, Lidia.”
La mia amica mi stava guardando con due occhi immensi.
Immensi e oceanici.
Si girò lentamente a guardare il cadavere del cane.
Pensavo che stesse per mettersi a ridere perchè ero stata forse troppo patetica, anche se tutto quello che avevo detto lo pensavo e lo sentivo veramente.
Sapevo che era l'unica verità assoluta che potevo dire con onestà di conoscere, di tutta una vita.
Invece la guardai mentre le si arrossavano gli occhi, e cominciò a piangere sommessamente.
Porter...nostro fratello?”, disse con la voce smarrita di una bambina che comprende una cosa serissima.Come abbiamo fatto a non accorgercene prima,” proseguì, “e non intendo solo del povero Porter...perchè adesso che me lo dici lo vedo. Vedo tutto chiaramente. E capisco anche che l'ho sempre saputo. Perchè facciamo finta di non saperlo? Questa è una colpa orribile, Diana, come facciamo a far finta di nulla? L'umanità intera, cazzo!”Lidia, adesso stai esagerando. Non sono mica la prima che lo dice. E nemmeno l'unica. Forse è che adesso sei disposta a sentire, tutto qui.”Oh sì. E non voglio dimenticarlo più.”
Si alzò da terra con un gesto incredibilmente energico, considerando come fosse atterrita solo qualche istante prima.
Mi sorrise con gli occhi pieni di lacrime.
Voglio seppellire nostro fratello. Mi dai una mano? Lo onoriamo, e facciamo per lui questo ultimo atto d'amore. Vuoi?”
Lidia, tra i quindici e i trent'anni, con un sole radioso nel petto e le sue lunghe gambe, gli occhi come oceani azzurrissimi e il volto commosso, di fronte a me.
In quel momento cancellò il tempo.
Mi allungò la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Certo, facciamolo.”
Andammo a casa mia a prendere un badile, un sacco di juta e dei guanti, in silenzio totale.
Tornammo alla radura con un senso di solennità emozionata, e sempre in silenzio scavammo una buca profonda per il nostro amico.
Sollevammo delicatamente il corpicino rigido di Porter e lo adagiammo con cura sulla juta che avevamo disposto sul fondo della buca.
Mi sentivo totalmente concentrata, con il cuore aperto e senza bisogno di alcuna difesa.
Avevo un sentimento dolcissimo dentro, che sgorgava continuamente in un abbraccio caldo d'amore per la Vita, la vita in genere e per tutte le creature.
Aspetta” sussurrò Lidia, evidentemente anche lei nel mio stesso stato d' animo, “non possiamo seppellirlo così...ci manca qualcosa. Dovremmo brindare a lui, non so, mettergli qualcosa perchè possa stare...non so, più comodo. Per il suo conforto.”
Avevamo solo vino ed erba.
Così non mi sentii ridicola a mettere tra le zampe di Porter il resto del vino nella bottiglia e quel po' d'erba nella busta che era avanzata.
Mi sembrava anzi che gli avessimo fatto un dono bellissimo.
Semplice, e bellissimo.
Poi rimanemmo a guardarlo ancora qualche istante.
Mi trovai a piangere, e Lidia con me.
Ma avevo anche un senso di pace nel cuore.
Un senso di armonia.
Eravamo in armonia, in ordine con il tutto, eppure era stato un gesto così semplice.
Ricoprimmo di terra la buca, e per ultima cosa cogliemmo qualche fiore dall' area antistante la radura, e li depositammo sul piccolo tumulo di terra.

Poi rincasammo entrambe ancora emozionate, in silenzio.
Lidia mi chiese di usare il bagno e dopo avermi abbracciato a lungo se ne andò senza dire nemmeno una parola.
Il giorno dopo andai dalla proprietaria del cane e le dissi che lo avevamo trovato morto, e che l'avevamo sepolto nella radura. La signora si mise a piangere ma mi ringraziò calorosamente.

Amavo quel cane come fosse il mio piccolino. Lo avevo chiamato Porter in onore di un fratello che persi in guerra, un fratello che amavo perdutamente.”
Le sorrisi e tornai a casa.
Il mio cuore abbracciava Tutto.







domenica 10 febbraio 2013

Acromegalia

Sono ignorante.
Un sacco di cose non so, non conosco, ignoro.
E proprio per questo, so di poter crescere.

I can grow further.

Sto leggendo "V per Vendetta" in ritardo di anni, con tutta la mia ignoranza.
Ma sono fortunata: l'ignoranza che mi contraddistingue ha a che vedere solo con una mancanza di dati e di interesse riguardo a certi argomenti, piuttosto che a posizioni prese a prescindere.
Posso cambiare idea, tornare sui miei passi, cambiare completamente antipodo: è una questione di punti di vista, piuttosto che di prese di posizione.
Cambiare d'altronde è un inevitabile diritto e necessità della sopravvivenza.

Così, dopo anni passati a dire che la politica mi fa schifo e non mi interessa, che non fa parte della mia essenza, ecco che mi trovo ad affrontarla, con la mia solita feroce passione e curiosità.

V per Vendetta.
Mi sento di nuovo quindicenne, ma ricca. Vedo.
Oltre la necessità e la fame di capire, di imparare i meccanismi dell'Arte Sequenziale  -di quella misteriosa e multisensoriale narrazione tipica del fumetto-, trovo temi a me insospettabilmente cari.

Si può dire di aver amato senza sapere? Si può dire, come nel più stereotipato "ama il tuo nemico", che improvvisamente quello che sentivi di deprecare nel tuo intimo diventa un tema essenziale per te?

I don't care.

E' così adesso, punto e basta.

Ho un amico di penna, uno scrittore in erba la cui passione e gioia nello scrivere mi si riversa addosso come una piena del Nilo, quando mi manda le sue righe perchè possa visionarle e dirgli ciò che penso.

Andrès.

Lui si fida del mio gusto, e quando scrive qualcosa me lo manda.
E non sa di farmi un dono TOTALE, dove la fresca nudità della sua essenza e dei suoi sogni mi sprona e mi disseta.

Non gli importa d'altro che d'essere libero.
Come non invidiare questa sua disposizione d'animo?
Si sente libero nel momento in cui espone se stesso.

Cosa che invece io rifuggo.
Basta proteggersi, basta scappare.
Ho smesso di scrivere e di suonare per questo.
Ho finto anche quando dipingevo.
Ho smesso di manifestarmi.
Che falsa.

"Alla gente non interessa quello che ho da dire, alla gente non importa trovare il tempo, la gente non capisce"...tutte vaccate per coprire un problema con me stessa.

Basta ricorrere all' autocensura per un senso di protezione.
Sono quello che sono, ho le idee che ho.
Non rubo il tuo tempo: se sei qui, vuol dire che almeno un po' ti interessa quel che ho da dire.
Se non ti interessa, cambierai pagina.
"Non voglio limitare la libertà di nessuno" era il mio pensare, ma così facendo limitavo la mia.

E allora sia quel che sia,
sono quel che sono.
Ho qualcosa da dire.

Patetica, antipatica, saccente, stereotipata, già sentita, romantica: non ha importanza.
E' il mio punto di vista, ha lo stesso valore di ogni altro,

come ogni singola pietruzza del mosaico.


Voglio essere libera.
E non dipende da nessuno se non da me.

Ho idee ed ideali: quando non sarò più, quelle, ultraterrene, mi sopravviveranno.
Quelle solo posso lasciare.



Il resto, è solo Vaudeville.




Con un ringraziamento speciale ad Andrès.






sabato 27 ottobre 2012

Manticora Autoproduzioni

Come sapete dal proliferare spammaticmediatico degli ultimi mesi, con altri sette amici (nonchè bravi professionisti in erba) stiamo dando vita al progetto Manticora.
Un anno fa nasceva l'idea e per festeggiare il compleanno della simpatica bestiola, andiamo a presentare Sindrome (primo albo in uscita) a LuccaComics.

Ci potrete trovare allo stand S29 della SelfArea in Piazza San Romano dal 1 al 5 novembre, ingresso gratuito -è il caso di dire anche ingrasso gratuito, visto che oltre all'albo abbiamo anche spillette, segnalibri, disegni vari e biscottini- !

Intanto, per alimentare la vostra curiosità e per farci conoscere un po' meglio, inserisco in calce qualche link che vi reindirizzerà presso alcuni blog molto interessanti, che oltre a nostre interviste e immagini contengono tante altre golose informazioni per chi ama l'arte, l' illustrazione e il fumetto:


-Flashfumetto: portale sul mondo del fumetto ed editoria; questo sito è un giacimento di documenti e recensioni, specie riguardanti il mondo dell' autoproduzione bolognese ma non solo. Trovate segnalati anche eventi e nuovi fumettisti.


-notunonlosaifare: un blog sull' arte contemporanea, che ci ha gentilmente ospitato per una intervista, ma del quale consiglio caldamente una visione allargata



-Mary &The Teapot: nasce come laboratorio creativo, e si propone di intervistare personalità emergenti fra videomaker, fotografi, illustratori, fumettisti e creativi in genere.
Ci sono anche esperienze di prima mano di festival ed eventi come per esempio il BilBolBul o il Crack!


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Per concludere, allego il link del blog di Manticora Autoproduzioni, dove troverete tutti gli aggiornamenti che ormai non potete più fare a meno di ricevere, e anche le Bio dei componenti del gruppo. 


Ah! E la pagina FB! Basta un click per averci a portata di mano!