Quanto
poteva dire di conoscerlo?
Bene,
benissimo, assolutamente per nulla?
Se ne
stava lì, seduto di fronte a lui, guardandolo con una faccia tra il
disgustato e il beffardo.
Era
incassato malamente sulla sedia coi braccioli, dall'altro capo di un
tavolino che era un cimitero di bicchieri svuotati.
Aveva i
capelli sporchi, unti, aggrovigliati, la pelle grigia e tesa, una
espressione di odio rabbioso in faccia, e stava immobile a fissarlo.
Che
cazzo vuole quello.
Che
cazzo guarda.
Soprattutto,
chi cazzo è.
Abbassa
lo sguardo sul tavolo, si fissa le mani nodose.
Non
doveva andare così, non doveva succedere.
Non
era questo che volevo, ho cercato di evitarlo con tutte le mie forze,
eppure è successo.
Non è
giusto.
Un senso
di fuoco e acciaio gli riempie il petto, ha una caldera al posto
dello sterno, e lui sa, lo sente, che non potrà contenerla ancora
per molto.
La morsa
lo attanaglia ferocemente come l' impietoso artiglio di un rapace
divino, che non ha niente di terrestre, e non potrà mai comprendere
altro se non il capriccio della sua volontà, e stringe, stringe, con
gioia crudele.
I
pensieri turbinano come rapide di bruciante metallo fuso.
No,
nessun corpo può resistere a tanta violenza emotiva.
Il suo
piccolo cuore ha cercato di resistere, ma è ormai allo strenuo delle
forze.
Abbandonarsi
all'ignoto dell'annientamento totale, quella sarebbe la pace,
finalmente.
Non
potevo fare più di così.
Io lo
volevo.
Ho
fatto veramente
Tutto
Ho
cercato di raggiungere quella meta, quella meta, quella meta...
Ora anche
il respiro si sta facendo difficile.
Perchè,
diomio, quanto possono essere profondi e immani i pozzi di un' anima!
Resistere,
non gli importa più.
E allora
tracanna un'altra sorsata di quell'intruglio maledetto che gli spacca
lo stomaco,
sperando
di trovare almeno un istante di intorpidimento nel prolungato
preliminare al suicidio.
Invece
no, quella scende e crea solo nuove ondate di odio.
Perchè.
Ho
fallito, fallito, fallito.
Perchè.
Luce
di illusioni.
Non
voglio più dormire, non voglio più guardare le stelle, non voglio
più niente.
Forse
bruciare
all'inferno, questo voglio.
Lo
sguardo è appannato, ma è una lama di diamante che perfora i veli
della realtà.
Ha
capito, certo, ma a che costo?
A che
serve, poi, capire.
Cerca di
non respirare, e alza gli occhi al soffitto.
L' Altro
è ancora lì, sempre più ammuffito, e marcio, e malevolo.
Sta di
fronte a lui, come una macchia di nero biasimo.
Lo fissa,
lo deride.
Lo
seziona con odio cieco.
Sempre
più curvo e sciolto sulla sedia sghemba, lo guarda con quei due
feroci buchi di nulla che ha al posto degli occhi.
Ah, lo si
vede distintamente, il biasimo.
L'Altro
sa che è colpa sua.
E' colpa
sua e lo perseguiterà.
Che
cazzo ha da guardare.
“Che
cazzo hai da guardare, Cristo!”
L'altro,
per sfotterlo, muove le labbra senza emettere un suono, poi lo guarda
stralunato come se non avesse capito una parola di quel che lui gli
ha detto.
La voce
era già rotta, disperata, schizofrenica.
D'altronde,
da un petto fatto di cavità oscure e coltelli di vetro, che voce
poteva mai uscire?
Ma
l'Altro sta in silenzio, e ricambia lo sguardo inquisitorio.
Passano
lunghi minuti senza che nulla cambi.
A parte
il sentimento di malessere di lui.
L'ubriachezza
è già oltre la soglia di controllo, ed è una bestia cattiva.
Lui
guarda il suo bicchiere vuoto riempirsi di liquido versato dall'altro
suo braccio, senza che egli abbia avuto nemmeno il tempo di
desiderarne.
Ormai è
automatico,
stiamo
bevendo per morire.
E
pensare che avevo investito i miei anni migliori.
Ci
avevo creduto.
Eccome
se ci avevo creduto, era tutto quello che volevo.
Ho
incessantemente sottoposto me stesso ad esercizi di volontà, per
migliorare.
Per
essere degno.
Quanto,
quanto, quanto lavorìo indefesso dell'anima e del cervello, per
raggiungere lo scopo.
E ho
fallito così miseramente.
Scivolato
nuovamente nel gorgo dei pensieri melmosi e acidi, egli passa
interminabili attimi a fissare il fondo di un bicchiere che è come
una baia in preda alla tempesta, che si svuota e riempie della rabbia
dei marosi in pochi secondi.
Poi si
ricorda dell' Altro, e solleva gli occhi per controllarlo.
E l'
Altro è ancora lì, a fissarlo con quello sguardo così irritante,
che gli ricorda di aver fallito miseramente. “Povero scemo”,
sembrano dire i suoi occhi odiosi, “povero scarto reietto
dell'umanità”.
Lui sente
i suoi occhi ingrandirsi di odio cieco, e fissa l' Altro cercando di
ucciderlo violentemente con lo sguardo.
Quanto
cazzo ti odio.
Chi
sei?
Che
cazzo vuoi?
Merda!
Io ti
uccido, merda!!
Gli si
contraggono le mandibole, il suo stomaco si mette a lanciare fulmini
e la sua testa si riempie di sangue acido e bollente.
Sente che
sta per scoppiare.
Chi è
mai questo fantoccio osceno che ha davanti, che lo deride
crudelmente?
Pure,
egli si accorge che l' Altro non è affatto sciocco o gratuito, nella
sua derisione.
E'
crudele. Per magico dono, l' Altro riesce a seguire i moti della sua
anima per beffeggiarlo meglio.
E i due
rimangono a fissarsi per lunghi minuti, di nuovo, con odio cieco e
omicida.
Ma il
bicchiere è vuoto, e Lui sente il bisogno di affogare nella peggior
sostanza che possa esistere, non per espiare, ma per soffrire.
E ne
versa, inasprito dall'atteggiamento dell' Altro, altri cinque, sette,
nove bicchieri.
Ancora,
fiumi di detriti e intime delicatezze che si infrangono con potenza
deflagrante sul muro della sconfitta.
Lui sta
sudando, sente il fegato pungere senza sosta, vorrebbe strapparsi i
capelli e poi grattare, scavare nelle ferite con le unghie, fino a
raggiungersi il cranio, e poi frantumarlo stringendo polso contro
polso.
Lentamente,
in modo da soffrire di più.
Come
cazzo è potuto succedere, come ho potuto crederci, come ho potuto
crederci, come ho potuto fidarmi, come...come...
Eppure
ero certo che sarebbe stata la mia Vita, ero certo che fosse vero,
che fosse la fortuna più grande d'ogni Uomo che sia mai esistito
sulla Terra, e che fosse capitato a me, miracolo, e io avevo lavorato
così duramente per esserne all'altezza, perchè sapevo che poteva
esistere, e invece mi sbagliavo, dio, quanto sbagliavo, come ho
potuto essere così stupido,
stupido,
stupido!
La
bottiglia non urina più il suo veleno.
Lui
riesce a far tanto, nella sua condizione delirante, di ordinarne
bestemmiando un'altra.
Il veleno
riempie di nuovo il bicchiere, che senza posa si svuota.
La sua
testa ormai farfuglia solo atrocità insensate, e partorisce immagini
di grottesche e ininventate torture per punirlo, o compiacerlo.
Sbavando,
senza riuscire a controllare i movimenti della testa, lui alza appena
un po' lo sguardo, e vede l' Altro che nel frattempo non ha smesso un
solo istante di scimmiottarlo.
Ora la
sua faccia sembra una collezione di secrezioni gastriche, odiosa e
malvagia, piena d'odio forsennato, che gli risponde con lo sguardo
vuoto.
L' Altro,
bisogna ammetterlo, ha un certo talento mimico: sta piegato sul
tavolino, sbavando come Lui, e continua a deriderlo senza posa.
E' un
manichino della pazzia, un congegno diabolico, un guscio svuotato e
riempito di ogni cosa spregevole e perfida.
Lo
sbeffeggia senza mai smettere, è nato per quello.
Lui cerca
di riguadagnare un momento di lucidità, senza risultato.
Ti
odio.
Quanto
ti odio.
Ti
uccido. Tanto non ho nulla, non ho mai avuto nulla, me ne sono solo
stupidamente illuso per un periodo.
Io non
ho mai avuto nulla, mi stava solo mentendo.
Non
aveva mai avuto serie intenzioni.
Che ho
da perdere?
“Pezzo
di merda schifoso, io ti uccido!
Ti
ammazzo, ti sbudello, ti squarto e mi lecco le dita sozze delle tue
interiora!
Ti spacco
il cranio a sassate!
Maledetto,
ti strappo la lingua a morsi!
Ti cavo
gli occhi per darli ai corvi,
Ti
estirpo la spina dorsale e me ne faccio un flauto!”
Solo
allora si rese conto di urlare contro l'Altro, che stava in piedi
come lui dall'altra parte del tavolo.
Stava
urlando a perdifiato, sentiva la voce uscirgli dalla bocca impastata
come una lama spezzata e ruvida, gli tuonava fin nello stomaco e gli
premeva i bulbi oculari.
L' Altro,
per risposta, non faceva che ripetere ogni azione di Lui, come un
burattino malefico che inscenasse un dramma inutile.
“Io
ti sgozzo, ti odio! Ti odio!”
Ormai
definitivamente perduto, Lui raccolse tutta la forza esacerbata e
nervosa che aveva in corpo, e si lanciò contro l'Altro con tutta la
violenza che il suo corpo gli permetteva, per prenderlo a testate.
Colpiva,
colpiva ciecamente, e vedeva stelle e forme colorate stagliarsi
contro un buio doloroso, e non riusciva a smettere. Colpiva,
affondava, e sentiva un odio senza fine, sentiva il sangue gocciolare
e il dolore crepitare come fuoco, e allora ci dava dentro ancor di
più, e sbatteva con tutta la violenza che aveva dentro, con tutta la
disillusione che gli aveva squassato il petto, sfogava tutta
l'amarezza del fallimento, della sua ingenuità, la vergogna
dell'aver creduto.
E con
forza inverosimile sbatteva, sbatteva, sbatteva la testa dell'Altro
contro la sua, con un odio senza fine, mai sazio, mai più placabile.
Quando
arrivò l'ambulanza, chiamata dal barista, quello che i medici
trovarono fu un uomo con la testa sfracellata, materia cerebrale
sparsa ovunque sul pavimento
e sullo
specchio cui l'uomo era seduto di fronte.
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