lunedì 28 febbraio 2011

La Montagna Sacra

Alchimista Bianco, rivolto all'Iniziato ladro: << Non sei che merda. >>
(Sorride, porgendogli la pepita d'oro ricavata dalle sue feci durante il processo d'iniziazione)
<< Puoi cambiare te stesso in oro. >>


La Montagna Sacra, Alejandro Jodorowsky, (1973)

domenica 27 febbraio 2011

PERDUToAMOR


Tommaso Pasini: << Io capisco che… è cosa molto difficile riconoscere le manifestazioni femminili dell’eros. Specialmente per quelli come te, che si credono maschi…>>

Ferdinando:  <<  ...ma io scherzavo...>>

Tommaso Pasini: << Eh, invece no!.. L’uomo nell’atto dell’amore…Una macchina
Una macchina che emette sospiri, e sbava, con automatismi, gesti maldestri, bruschi cambiamenti di voce…afferra la donna come una preda, la morde, rantola, gode… E genera
…Simile furia non era necessaria alla procreazione della specie.

Pochi, veramente pochi desiderano nella Donna un essere vivente che conservi ancora...oscurità, attività infinite...(sospiro di rammarico)…Gli autentici amanti, caro mio, sono rarissimi. Rarissimi. >>


Tommaso Pasini (Gabriele Ferzetti), dal film PERDUToAMOR di Franco Battiato (2003).

martedì 22 febbraio 2011

L' ubiquo dominio dell' Inessenziale

Dedicare la propria esistenza all'Inessenziale è abito d'alcuni.
Che poi ci si divertano, che ne ricavino loro malgrado soddisfazione e felicità (fittizie o meno), che se ne disperino, che se ne compiacciano, è affar loro. Anche mio per la verità, che pettinare le bambole riesce perfettamente anche a me. La cosa di fondo che mi disturba è lo spreco.
Spreco d'energie, di speranze, di pensiero, d'attenzione, chè nell' economia dell' arco di una vita si traduce in troppo tempo perso, focalizzabile altrove e con maggior risultato. O forse che s'esiste perdendo tempo e aspettando il prossimo treno, e allora io non ho capito nulla della vita e tant'è che non la so vivere.

Cos'è inessenziale non lo so nemmeno più definire, sarà anche questo, suppongo, questione di scelte.
O forse l'Inessenziale sono le esperienze che ci si rifiuta di accettare come andate male, o abitudini recesse d'incosciente applicazione, o futilità che abbelliscono il piatto dove si mangia, secondo la natura della tragoèdia ognuno sceglie di vivere.
E' alla fin fine un labirinto di labili separatezze, di confini di nebbia, dove tutto è alla portata di mano eppure distante dall'essere appartenibile, abitabile.
E mi rammarica non poco capire che l'Inessenziale, così onnipresente, è anche il suo stesso opposto: è ovunque e ben celato, perchè la sensatezza d'ogni cosa non è altro che opinione, e in quanto tale sempre passibile di fallacia. Ed è un regno ben vasto quello dell'errore.

Come dire insomma, che si distingue la luce solo perchè si ben conosce il buio e viceversa, solo che nel caso specifico l'operazione è molto meno oggettivabile, ben più sfuggente e subdola. Nemmeno paragoni e confronti possono servire molto spesso. Una trappola per trappole.
Camaleontica Inessenzialità, che tutto permea e controlla, che niente tange e niente assicura.

Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.

E l' Inessenziale, pure.




[Eyecon for a blind]



Inessenziale legame. Non vedi per troppe lacrime. Il cappio l'hai voluto da te, per te.
Io ti libero dal tuo capestro, e della mia libertà offerta ti cingi nuovamente il collo. E' questo il danno, inessenziale, perchè non vedi per davvero ma per presunzione, e non ti vedi libero se non sei legato.
Per tua scelta, quel che ti volevo dare era ben altro.




[Unveiled]


E' solo cambiare. Cambiare è tutto. Abbandonare una forma, una pelle, un abito, per prenderne uno nuovo. E' un trapasso di coscienza. Annegato nel vino. Mi svelo, mi rivelo, ti mostro le geometrie, mi plasmo e riplasmo, convalido e annullo, ti porgo la tua nuova pelle, ti strappo dalla vecchia. Oppure faccio il contrario.
Ho fatto tutto. Ho cambiato tutto. Eppure non è altro che il reiterarsi di archetipi della vita e della morte, allegorie, da eoni. E' inessenziale la tua veste, inessenziale la tua pelle, la tua verità, il cambiamento.
Disvelare serve solo a rivelare. Essere morti non può che portare alla vita. Nel momento in cui sei vivo sei destinato a morire.
La ciclicità lunare è quel che intendo.
Inessenziale, ma così stanno le cose.

mercoledì 16 febbraio 2011

Leggi Generative

Io sono impazzito,
prima d'essere Eterno.

Come mai potrai tu, vile
-vile!-,
fuggire i miei strali?

Che lento t'accartocci sprecando l'esistenza
-misero!-,
sul senso del Possibile,

quando tutto ha generato e genera il Caso:
l'impossibile e inusitato,
l' Impossibile è inusitato.

Dice: " centocinquanta milioni a uno, signori, scommettete!"

E voi tutti, figli di quell' Uno
-ignavi!-,
preferite la sicurezza del numero.

-Ignavi!-
a non volervi considerare secondo natura del
Vero e Reale,
a non voler capire la sterminata possibilità
che generoso dona l' Impossibile,
che v'origina e determina.

Ignorate la madre vostra e amante perfetta
per vivere una vita non d' Uomo,

ma di sasso.



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Questa non ve la spiego.
No, maleballe, lo spiego eccome.

" ...Fate almeno finta di capire, zombie! Io vi spacco il cervello! "

(Nota improvvisazione di Carmelo Bene al pubblico del Costanzo Show).

Pensate solo che siete nati voi, e solo voi (a meno che non abbiate un gemello omozigota e comunque la probabilità numerica rimane a sfavore) da una media emessa di centocinquanta milioni di spermatozoi a eiaculazione.

Centocinquanta milioni a uno.
Chi mai scommetterebbe l'uno, giusto? Eppure voi siete qui.
Sulle leggi che ci generano, che danno forma alla varietà della vita, delle sue situazioni, sulla possibilità che accada anche l'impossibile...questa minuscola considerazione, una riflessione dovrebbe pur farcela fare.

O vogliamo essere veramente ciechi? Ignorare il potere del Caso? La sua ricchezza imponderabile?

No perchè non so voi, ma io mica avevo pianificato d'esistere.

Ma già che ci sono, mi prendo il meglio. Anche quello che è impossibile prendere.

L' Altro da Borges (autobiografia troppo sincera)

Questo post avrei potuto evitarmelo ed evitarvelo.
Ma ci sono momenti nella vita in cui ricordare e soffrire d'alcuni ricordi è paradossalmente curativo.
Ispirato da L'altro de Il libro di sabbia di Borges, all'epoca non fu più d' un esercizio impostomi da superiori, nel quale come sempre ho però tentato di mettere il meglio che sapessi fare, con critica lucida di me, dei miei difetti, esaltando la differenza che può fare un semplice PUNTO DI VISTA. Le stesse cose da angolazioni differenti diventano inferni o paradisi.
Ora, questa è roba vecchia: credo risalga al 2006 o giù di lì.
Ma più che mai in questo momento della mia vita mi ritrovo nella situazione descritta.
Mi aiuta a tenere bene a mente che uno il destino se lo fa, e che se non si prendono le giuste scelte quando è il giusto momento, ci si  può davvero trovare ad essere una altro sè ucronico derelitto, indurito e compiaciuto della sua inettitudine, troppo pigro per reagire.

Mettetemi al patibolo quando smetterò d'ascoltare e di vedere intenzionalmente.
Sparatemi quando smetterò d'imparare o d'avere il coraggio di farlo.

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Libera vestizione di panni non miei, ma graziosamente adattati.



  Dopo quasi cinque anni dal suo impianto nel mio foro vertebrale all'altezza della prominente, il biomodem alcune notti mi infastidisce ancora.
Mi crea disturbi del sonno, incubi, visioni, allucinazioni e alterazioni percettive inizialmente gestibili che invece col passar del tempo riesco sempre meno a controllare.
Nelle ultime due settimane i miei ingressi in Overnet sono stati assolutamente involontari e  perciò pericolosi: sono avvenuti nel sonno i primi cinque, e addirittura in stato di veglia gli altri due.
Ora, nonostante i controlli incrociati dei Multiserver, come da sempre hacker e pirati ne combinano di cotte e di crude; da qualche anno c'è della gente che entra in Overnet e sparisce, altri il cui sistema nervoso è direttamente infettato dai nuovi virus Interbiocoder. Pericoloso davvero, non si scherza.
  Molto più comodo e sicuro quando il computer era semplicemente nello schermo, e il modem era un parallelepipedo di plastica che si accendeva solo quando lo decidevo io, e c'era ancora internet e i virus si eliminavano con dei programmi.

  Avevo quarantacinque anni quando il Nuovo Governo Unificato propose il sogno di Overnet. E all'epoca un'utopia sembrava, piena di “bei proponimenti e vantaggi e convenienza per l'utente”, come faceva sapere il segretario generale addetto al progetto. Nessuno ci badava, inizalmente.
Ricordo il passaggio di un libro letto quand'ero giovane, che spiegava come certe popolazioni primitive non capivano come facessero a starci degli omini così piccoli dentro quella scatola che noi civilizzati chiamavamo televisione.
Così eravamo noi, in quello sciocco, automatico, grigio 2028, increduli e disarmati (ma altrettanto convinti della sua impossibilità d'estistenza), di fronte a questo miraggio telematico.
  La verità è che nel mondo che l'uomo aveva da sé stesso forgiato nell'arco di lunghi secoli c'era rimasto ben poco da amare. L'intera umanità da diversi anni era solo un disordinato assembramento di corpi atrofizzati, di emozioni indotte chimicamente o rigettate in violenti exploit omicidi.
La droga non bastava più ad acquietare gli animi, nemmeno gli ultimi ritrovati sintetici.
La religione era certo ancora l'oppio dei popoli, ma l'oppio in realtà non se lo ricordava nessuno, nemmeno come era fatto.
C'era bisogno di nuovi mezzi di controllo sulla gente.
Comunque sia, nonostante nessuno lo pensasse possibile, nel giro di due anni furono costruiti software e hardware delle due intelligenze artificiali che costituivano Overnet, e Internet fu smantellato l'anno successivo con grande entusiasmo di governo e popolazione. Iniziarono i test sugli esseri umani. Nei quattro mesi successivi l'intera umanità si occupò solamente di farsi impiantare quel maledetto biomodem nella spina dorsale, per provare l'ebbrezza di una realtà simulata con perfezione assoluta. Overnet era versatile e veloce: a parte l'ordinaria navigazione, consentiva l'ingresso in mondi virtuali con un corpo virtuale, ma sensazioni, dati e altri utenti incontrati erano reali.
I problemi vennero fuori lentamente, subdoli e striscianti, solo dopo un anno dall'impianto.
Chi aveva avuto crisi di rigetto, chi non riusciva più ad uscire da Overnet, virus mortali e trappole virtuali che friggevano la  mielina  e tostavano il tessuto corticale del cervello.
C'era della gente che impazziva, dell'altra che veniva letteralmente programmata.

 Ma il Nuovo Governo Unificato sosteneva che i problemi di adattamento all'impianto ce l'avevano solo chi, come me, aveva ricevuto il biomodem oltre i vent'anni di età. Diceva che il cervello e quant'altro non avevano avuto il tempo di crescere e modificarsi per accogliere spontaneamente il chip. Perciò si cominciò ad impiantarlo direttamente alla nascita. E in effetti i bambini che l'avevano dalla nascita facevano molta meno fatica a controllarlo. Il suo difetto principale -benché credo pianificato fin dall'inizio- era la connessione.
Il biomodem era infatti stato concepito in modo che i comandi fossero impartiti al chip attraverso forme pensiero. Bastava pensare di collegarsi e si era dentro, ma funzionava solo con un pensiero volontario e mantenuto per almeno venti secondi. In quei venti secondi le intelligenze artificiali vagliavano la richiesta d'ingresso e l'identità dell'utente, la quale era confrontata con la banca del DNA mondiale. Cloni pertanto non ne potevano esistere: ogni codice genetico era una persona reale e conseguentemente virtuale solamente. Non c'era possibilità d'errore.
Però le due intelligenze artificiali avrebbero potuto, nel tempo, imparare dalla grande quantità di dati in loro possesso, modificarli ed addirittura creare mondi e dimensioni parallele; inoltre avrebbero potuto controllare autonomamente ingressi, uscite e permanenze degli utenti.
Perchè questo era in loro potere, e nonostante ogni minima precauzione fosse stata prudentemente adottata per evitare che succedesse, ho l'impressione che adesso, nel 2036, le macchine abbiano già rapito le coscienze e le memorie di tutti e stiano mediante quelle informazioni costruendo il loro mondo. Vogliono un corpo. Vogliono la carne, vogliono sentire dolore, piacere, amore, odio, il calore del sole e il freddo del vento. Lo vogliono fare loro, perchè l'uomo da tempo non lo fa più. 

Da quanto me ne sono accorta?
Da brava miscredente l'ho sempre sospettato, ma è stato un singolare e inverosimile incontro avuto questa notte, pochi minuti fa, a dare fondamento alle mie tesi.

Saranno state all'incirca le tre del mattino, continuavo insonne a rigirarmi nel cubicolo pensando a quanto fossero odiosi quelle specie di loculi funerari che già da quindici anni circa si utilizzavano al posto dei letti, quando d'improvviso, dentro la “scatola del sonno” (mi piace di chiamarlo così, il cubicolo),  si manifestò un flash di luce bianca intensissimo.
Avevo gli occhi chiusi e mi accecò comunque. Premetti il pulsante di espulsione dal cubicolo, e appena fuori, seduta sul basculante, cercai di recuperare la vista e soprattutto di capire cosa stesse succedendo.
Ma la vista non tornava, così mi ridussi a guardare una confusione di minuscoli puntini bianchi e neri in perpetuo movimento. Poi mi accorsi di un ronzio quasi impercettibile che proveniva da un punto indefinito della stanza. Ebbi l'impressione di trovarmi di fronte ad un enorme monitor televisivo...il ronzio cresceva, e finalmente con orrore capii che ad emetterlo erano proprio i puntini.
Con orrore, perchè questo era chiaramente un ingresso ad Overnet involontario.
E infatti non feci in tempo a finire di formulare il pensiero che con una nitidezza insolita mi apparve attorno la hall di un albergo. Per qualche secondo mi guardai intorno per capire dove potevo essere, e perchè.
Overnet è il presente, nel senso che non prevede nella fruizione della realtà virtuale altro tempo che non sia il presente, l'oggi.
E quanto vedevo non era affatto il presente: banconi di legno, lampadari a luce elettrica, divani e poltrone di pelle, tappeti. Cose che non si usano da tempo, in materiali decisamente obsoleti. Tutto di foggia antiquata, abiti e persone dentro gli abiti pure. Sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo di trent'anni.


  Dio, che non è affatto sciocco anche se estremamente vanesio, ebbe cura di fare in modo che ci fosse un filtro tra il suo pensiero e il prodotto fisico di quel pensiero: pose tra i due il Verbo. L'uomo, vanesio più del dio ma irrimediabilmente stupido, si tolse quella opportunità volendo superare il suo creatore -a lui ci son voluti pensiero e Verbo, a noi uomini basta il pensiero- e Overnet ne è la più grande attestazione: non riesco a smettere di ripetermi che se non avessi fatto quel dannato pensiero non sarebbe successo niente.
E invece, inaspettato e fatale come tante cose nella vera vita umana, quasi per scherzo fece capolino fra tutti gli altri, sorridendo candido alla mia condanna.

“Trent'anni fa avevo vent'anni. Questi che vedo sono i miei vent'anni”.

Banalmente mi urtò addosso sulla schiena. Altrettanto banalmente, come se fosse stato tutto normale, mi si pose di fronte per chiedermi scusa.
Fu allora che capii quanto inumano e perverso si fosse fatto l'uomo nel tempo, e questa coscienza si accompagnò ad un lungo brivido gelido e ad un'altra certezza, non meno sconvolgente: le macchine avevano cominciato a produrre un loro senso delle cose. Avevano cominciato a fabbricare un nuovo mondo per gli uomini, fatto delle loro memorie e speranze, un mondo fittizio cui collegare tutti prima o poi. Stavano creando mondi paralleli e ucronici dove fondevano a loro piacimento le vite passate e presenti di chi vi entrava.
La ragazza che avevo di fronte, senza ombra di dubbio, ero io a vent'anni.
Mi guardai chiedermi scusa per un istante che mi sembrò un' eternità.
I tatuaggi sui polsi, il modo di parlare, gli occhi, gli abiti...ero proprio io.
E lei si accorse di come la guardavo, e ricambiò la cosa, smettendo di parlare.
Aveva capito chi ero, ma come me non poteva crederci. Fece esattamente come avrei fatto io a vent'anni: inclinò la testa verso sinistra increspando le sopracciglia, e posta la mano destra sul relativo fianco mi disse:

-”Ma ci conosciamo? Lei ha un'aria decisamente familiare”.
-”Non lo so. Cioè, credo di sì ma effettivamente non lo so. Dove siamo?”

Mi guarda un secondo allargando le narici.

-”Secondo lei dove siamo?”

-”Venezia” risposi prontamente. 

Non poteva essere che Venezia. Cercai dei riscontri nella hall: un leone di San Marco campeggiava su un muro laterale al bancone principale.
-”Mi spiace di esserle venuta addosso, cammino senza mai guardare dove vado. Brutto vizio. Pensi che l'altro giorno mentre camminavo in campo Santa Margherita...”

La interruppi brutalmente. Sapevo cosa stava per dire:

-”... è inciampata su una lastra di trachite e ha buttato per aria un banco del pesce. Un sacco di calamari per terra.”

-”Esatto. Ma lei come fa a saperlo? E' successo anche a lei?”
-”Già. Avevo più o meno la tua età.”

Sorrido, e lei mi sorride allo stesso modo ma con una spensieratezza persa da tempo, per me. Mi allunga la mano mentre recita le solite frasi di congedo.
Mentre le porgo la mia, lei abbassa lo sguardo e si blocca.
Con la delicatezza che ho avuto fin da bambina nel toccare le altre persone, mi prende la mano destra e controlla le lettere ebraiche che ha anche lei tatuate all'interno del polso.
Quasi pregando le mormora lenta e incredula:

-”Hè, Yod e Ayn. Nell'altro polso ha Beith, Zain e Shin.”
 

Annuisco solamente. La vedo cercare il foro del piercing dove lei l'ha ancora, e le cicatrici sul braccio sinistro, e quel segno sulla tempia destra.
Le si rabbuiano gli occhi. Se per me poteva essere difficile accettare quel paradosso cronodimensionale, figuriamoci per lei che avrebbe vissuto l'avvento di Overnet e  le sue meraviglie solo tra venticinque anni.

-”Sono proprio io.”
Glielo dico con dolcezza, e so bene perchè: a vent'anni certe emozioni mi spezzavano. Invecchiando ho imparato a farci caso come né più né meno a una mosca sul muro.
Il tempo è un ladro formidabile.
Ecco. La ragazza è atterrita, e la vedo fare una scena conosciuta da sempre: allarga le spalle, inspira, e con modo spiccio e arrogante abbozza un gesto secco e mi fa:

-”Poche palle. Meno parole più fatti. Voglio le prove.”

Sapevo che mi parlava così perchè aveva capito che ero veramente io. Normalmente non l'avrebbe fatto.
Mi sedetti su una poltroncina, pronta a snocciolare lunghe sequenze di dati.

-Dunque. Hai abitato fino ai diciannove anni in Veneto, poi ti sei trasferita a Bologna, dove vivi ora. Hai una gatta bianca a macchie grigie che è uguale uguale ad un gatto che hai avuto precedentemente molto amato, che si chiamava Benito. Hai odiato per mesi il pavimento del tuo appartamento bolognese perchè non riuscivi ad abituarti alle piastrelle bianche con le fughe nere. Nella tua stanza, sulla prima mensola a destra della porta ci sono vari trattati di magia, occulto ed esoterismo, di cui ti interessi da sempre. La narrativa sta sulla mensola appena sotto; Poe e Lovecraft stanno sempre al capo più vicino perchè sono quelli che tendi a rileggere più spesso. I saggi sull'ipnosi, Castaneda e i libri vecchi, che ti piace comprare di tanto in tanto, sono invece sulla libreria bianca, assieme ad altri di poesia. Quella d'angolo invece ha solo testi che parlano d'arte.
Devo continuare?”

Mi guarda perplessa.

-”Non sto capendo quel che succede. Se tu sei me, e io so di essere io e di avere vent'anni, perchè tu sei me e di anni ne hai molti di più? Sto sognando? Soprattutto: come faccio ad essere due persone in corpi diversi?”

-”Non credo tu stia sognando -me lo ricorderei ancora un sogno così, è certo- e d'altronde non può essere qualcosa di reale perchè non ricordo neanche di aver mai incontrato me stessa  a cinquant'anni quando avevo la tua età.”
-”Insomma questa è una sorta di dimensione parallela.”
-”Credo di sì. Fra qualche anno saprai esattamente come è andata.”

Mi sorride, un poco più tranquilla. Eravamo identiche in tutto e per tutto, a parte ovviamente i segni dell'età sul mio viso e qualche acciacco, eppure ci conoscevamo relativamente. Il mondo e il tempo sarebbero cambiati e mi avrebbero cambiata  tanto da farmi dimenticare molte, molte cose...

-”Te la ricordi Si china il giorno?”

-”Certo” -aveva intuito il mio pensiero- “...dunque dunque...ah ecco sì...T'ho amato e battuto; si china il giorno e colgo ombre dai cieli:
che tristezza il mio cuore di carne
.”

-”...così lieve il mio cuore d'uragano.
-”Dalla tua matrice io salgo immemore e piango. Camminano angeli, muti con me; non hanno respiro le cose; in pietra mutata ogni voce, silenzio di cieli sepolti. Il tuo primo uomo non sa, ma dolora.”

Ci fissiamo per qualche secondo. Inevitabile. Sorrido per la tenerezza che mi fa vedermi così, a credere ancora in cose che per me ormai erano solo fantasmi. Alla notte mi faceva commuovere, a quell'età. Ora non più.

-”Continuo a scrivere poesie?” mi chiede.

-”Sì. Continui a fare tutte quelle cose che hai sempre fatto. Ma adesso sono diverse. Continui a fare musica, ma la tua ricerca musicale si è cristallizzata nell'aridità del sound design, continui a dipingere ma con sempre crescente frustrazione e rabbia, scrivi scarne poesiole che dell'amore se ne sbattono altamente, anzi.”

Mi guarda senza capire.

-”Pensavo che non avrei mai cambiato idea su determinati valori.”

-”E' questo il guaio: PENSARE. Fra qualche anno i nostri governi faranno in modo di poter controllare pure il pensiero. La vita ti cambia.
Il mondo si presenterà in casa tua come uno straccione pulcioso, tu lo farai accomodare per pura compassione, e lui infetterà tutta la tua casa col suo sozzume.
Crederai all'Umanità per molto tempo con l'assoluta Fede dell'orante sul suo inginocchiatoio.
Dedicherai notti intere e ogni istante diurno ad amori brucianti e impossibili, ridendo e piangendo insieme per uomini che non ti sapranno mai, per loro volontà o capriccio.
Ti infiammerai per idee e colori, ti batterai per insulsi ideali.
Sosterrai etiche frivole per il solo gusto (ma lo capirai dopo) di esserne l'antitesi.
Cercherai senza trovare. Troverai cose che non cercavi affatto.
Vivrai, insomma.
Tutto qui, molto ordinario, molto banale. Ah, sì: non riuscirai mai a smettere di fumare.
Io almeno fumo ancora.”

Le dissi tutto questo con lentezza e dimentica dei suoi vent'anni. Parlavo a me stessa, ma non ero io. Quanta franchezza sprecata; lei stava lì a guardarmi smarrita.

-”Concordo con pensare uguale guai, tuttavia è dal pensiero che nasce tutto. Per il resto non vedo perchè tu debba essere così insofferente nei confronti della vita. Non mi sembra andrà malaccio, tutto sommato. Voglio dire, visto che un essere umano non può prescindere da ciò che è, è normale che viva la vita nelle condizioni di uomo, perciò sottoposto ai limiti stessi della sua esistenza...”

-”Basta, ti prego...non venire a fare questi ragionamenti a me. Li ho sepolti da una vita. Sono perfettamente inutili, e prima te ne renderai conto meglio sarà.”

  In un solo istante avevo dimenticato tutta la gentilezza.
Mi infastidiva la pazienza e la sollecitudine con cui sosteneva le sue idee, il suo candore assoluto e la sua insopportabile tendenza illuminista all'ottimismo.

Una ragazzetta illusa, ecco cos'ero a vent'anni.

Credevo ai valori, credevo all'amore, credevo ai sogni.
Avevo una visione troppo lirica e intensa, ridondante e patetica di ogni singola Cosa che costituisse l'esistere. Tutto aveva una sacralità che andava rispettata.
E, soprattutto, ci credevo.
Guardavo i miei occhi sinceri e preoccupati di trent'anni prima, e provavo rabbia.

Bisognerebbe vivere al contrario. Nascere vecchi e morire giovani, in una meravigliosa progressione verso l'alleggerimento d'animo e di sentimenti...Bisognerebbe nascere neri sporchi di morchia, e morire bianchi d'alabastro...
Questa sarebbe la via ideale per essere accolti in un Paradiso che funzioni bene.

Invece quell'essere meraviglioso e pulito che mi stava davanti ero io e non lo ero più, e  invidiavo quello che lei era e io non avevo mai saputo di essere, mi faceva morire di rabbia l' aver perso tempo ad aspettare di crescere per vivere, quando invece avrei dovuto succhiare la vita a lunghe sorsate direttamente dalla sua fonte, mordere il tempo come solo i ventenni possono.
Vedevo in lei la più perfetta delle imperfezioni tra quelle che ha l'uomo a sua disposizione, ma di cui non è cosciente finchè non la perde: la giovinezza.
Ma non quella della carne.
Quella che rende il mondo un enorme parco d'intrattenimento,
e le persone compagne di gioco. Quella che in ogni angolo c'è un'occasione.
Quella che accende i tramonti con luci al neon e fabbrica ogni notte un nuovo vetro multicolore per fare l'alba. Quella che trasforma la notte in un immensa licenziosa alcova di seta nera, culla d'ogni innocente perversità.

Perso tutto. Avevo perso tutto, senza sapere d'averlo stretto fra le dita.

Come potevo non odiarla?

E lei, che seppure giovane era pur sempre me stessa, per una sorta d'empatia capì ciò che stavo provando. Forse, per un'istante, i miei occhi d'oggi sono stati capaci d' essere sinceri un'ultima volta, dopo tanto che avevano imparato a nascondere tutto.
Non potevamo mentire l'un l'altra. Non era stato un incontro piacevole per nessuna della due: lei non si capacitava di ciò che sarebbe diventata, io invidiavo follemente quello che lei era e non aveva coscienza d'essere.

Così feci l'unica cosa sensata da farsi. Mi alzai e sorridendole le chiesi il coltello a serramanico che aveva in tasca. Non si stupì alla mia richiesta.

-”Te lo ricordi eh? Il vecchio coltello di papà.”

-”In realtà me lo ricordavo con colori molto più vivi. Ma pazienza, servirà comunque allo scopo.”
-”Cosa devi fare?”

Mentre le facevo un gesto che io e lei sapevamo significare “ora vedi” aprivo il coltello e lo portavo all'altezza della base del collo, lì dove iniziano le vertebre cervicali.

Sto dettando queste parole allo script generator. Mi resta ancora qualche minuto. Mi sono dimenticata di aggiungere alla descrizione del biomodem la più inquietante delle sue caratteristiche: ossia una piccola linguetta metallica, inserita sottopelle, che può essere raggiunta mediante una piccolissima incisione. Niente di doloroso. Una volta strappata la linguetta il biomodem si azzera e si spegne entro venti minuti. Con lo spegnimento, com'è logico, sopravviene la morte. Un piccolo cavillo assicurativo che il governo ha voluto avere sui fruitori di Overnet. In caso di pericolo, li si può riprogrammare o semplicemente uccidere se commettono certi crimini.

Il mio mondo d'oggi non era un bel mondo.
Non avevo neppure la certezza fosse del tutto reale.

Non ne valeva la pena, dopo quest'incontro. Non avevo niente per cui valesse la pena tornare. Non avevo niente da amare. Non sapevo né quando né come né se sarei riuscita a tornare alla vita reale, sapevo comunque che non l'avrei più sopportata.

Mi guardava incuriosita mentre praticavo l'incisione. Strappai la linguetta e gliela donai. Sopra c'erano la mia data di nascita, la data di consegna del biomodem (22 aprile 2031)
e il mio codice genetico.

Non poteva capire cosa significava per me (e per lei) quello che avevo appena fatto, né glielo volli spiegare. Mi congedai con poca grazia, ma con un senso di libertà nel petto.

Volevo dettare al programma questa cosa prima che i miei venti ultimi minuti di vita finissero. Non pensavo che venti minuti potessero durare tanto...
Non so chi la potrà leggere e l'eventuale sua utilità, ma va bene lo stesso... avrei voluto dipingerla, ma il paint generator non dà soddisfazione.
Bei tempi, quelli del pennello.

C'è qualcosa che mi si muove dentro, come un uccello maestoso in una gabbia troppo angusta: sfiora appena le pareti della mia anima, pigola piano, un po' impaurito.

Da quanto tempo non ricordavo una sensazione come questa...
....anni fa l'avrei chiamata nostalgia.


Che tristezza il mio cuore di carne.
 


 

martedì 15 febbraio 2011

Jan Svankmajer


Jan Svankmajer

Svankmajer è un regista ceco non molto conosciuto in Italia a causa di una cattiva distribuzione dei suoi lavori, praticamente irreperibili sui supporti ordinari. Ma siamo nell'era della tecnologia e del villaggio globale eccetera, sicchè il funzionale Eta Beta di Internet, YouTube, sfodera dal  gonnellino le sue meraviglie.
Spulcio su Wikipedia perchè non ho molte informazioni su questo curioso vecchierello, e come la stessa proclama è in effetti evidente come sia stato da pigmalione a registi ben più famosi di lui quali Terry Gilliam, Tim Burton, Michel Gondry. A mio avviso ritrovo elementia svankmajeriani anche nei primi cortometraggi sperimentali di Polanski giovane (vedi Lampa), o in alcuni aspetti di Peter Greenaway (in particolare nella sua nota passione per la catalogazione, i cui germi sono rintracciabili in corti di Svankmajer come Historia Naturae Suita o Et Cetera) e oserei a margine inserire nella lista anche Richard Linklater, ma solo quello dei film fatti col rotoscope (A scanner Darkly, Waking Life). La linea analogica sulla quale s'innesta Linklater non è tanto visiva in effetti, o formale, quanto filosofica: trattasi di meditazioni su pellicola di una pesante leggerezza o inafferrabile inconsistenza-insensatezza dell'esistere e delle sue leggi, a tratti spaesanti, sulle quali gioca molto spesso (ironicamente ma non solo) anche Svankmajer.
L'ospite del giorno (della sera, dato che sono le 21:21) svolse i suoi studi all' Accademia di Belle Arti di Praga (chè se era quella di Bologna erano altre paia di maniche), sezione di scenografia. I rimandi scenografici al teatro sono molto forti e presenti nelle sue opere, sia nel senso proprio che in senso di  teatrino, con burattini e marionette (a questo proposito, vi consiglio la visione di uno dei suoi migliori film -parere mio-, dove l'unico in carne e ossa è il protagonista, mentre il resto degli attori sono marionette di varie grandezze: il Faust del 1994).
Svankmajer ha prodotto negli anni solo qualche lungometraggio, sette per la precisione, ma una infinità di cortometraggi  riusciti ed estremamente caratteristici: egli lavora con una particolare tecnica di stop motion, manierista e utilizzata con molta sapienza, che lo rende subito riconoscibile. Altri tratti salienti sono l'utilizzo dei rumori (caricaturali?) e la scelta delle colonne sonore in larga parte del periodo barocco (Bach e colleghi), la cui scansione modulare ritmica e melodica ben s'adatta alla struttura visiva e compositiva derivata dalla tecnica della stop motion. Non sono mancate citazioni ed omaggi ad artisti come Leonardo, Arcimbolodo, e ad altre curiosità proprie della sua tradizione culturale (un documentario horror, per essere pignoli, The Ossuary del 1970, girato nel castello di Sedlec, affascinante architettura le cui decorazioni barocche sono ricavate da ossa umane).
Vogliamo parlare delle atmosfere? Leggendo la lista dei suoi corti, appaiono diverse pellicole prodotte sulla base di racconti di Edgar Allan Poe, di Horace Walpole, di Lewis Carroll.
Il risultato è che l'immaginario che si respira nel suo operato varia e viaggia tra il surreale e il paranoico, l'ironico e il perturbato, l'orrorifico (Sileni aka Lunacy è un suo lungometraggio dell'orrore abbastanza recente, del 2005, ispirato proprio da Poe e De Sade -al marchese aveva precedentemente fatto tributo con altri film, quali I Cospiratori del piacere-) e il poetico, la visione infantile che percepisce la minaccia dello sconosciuto, e quella del vecchio che rassegnato se ne arride. Molto spesso i contenuti dei corti hanno anche a che fare col tema della consunzione o dell'esaurimento del senso: esseri fitomorfi che appassiscono senz'acqua (Flora), coppie che dialogano sessualmente fino alla disgregazione (Dimensions of Dialogue: passionate discourse\ Dimensions of Dialogue: Exhaustive Discussion), altre coppie che parlano "fattualmente" fino ad arrivare all'estrema incomprensione (Dimensions of Dialogue, facutal conversation), oppure destinate ad un fugace consumo (per l'appunto) della loro storia perchè in breve destinate alla "morte" (Meat Love).
Altro tema principe è il cibo, che potrebbe parallelamente avere a che fare con quello del desiderio: il rapporto che Svankmajer suggerisce col cibo è infatti quello di una tentazione perversa, succulenta e visivamente attraente, biblica, seppure mostra non sempre velatamente la sua pericolosità attraverso colori o forme inusuali per un alimento sano o in buono stato di conservazione. Un desiderio malato, al quale difficilmente si resiste, un desiderio di nutrimento o semplice ingordigia che porta anche all'autocannibalismo (Food) come atto estremo della soddisfazione delle proprie pulsioni, o ancora una volta come consumazione del proprio bisogno.
Allo stesso modo tratta col desiderio sessuale o amoroso: alternando innocenze e ingenuità con perversioni e istinti malsani, pruriginosi, creando tensioni tra il desiderio ingigantito dalla sua non puntale soddisfazione e quello che una volta esaudito diventa noiosa abitudine, alla quale è però impossibile resistere, perchè diviene rituale.
Sono storie di energie creative e distruttive che si muovono su temi archetipici, su bisogni primari dell'uomo, e sulle suggestioni inconsce e incontenibili che possono provocare. Esse svelano immancabilmente le debolezze vuoi poetiche, vuoi miserabili, dell' uomo di fronte alla sua stessa natura, che gli rimane inafferrabile e imbrigliabile.


Posto solo alcune cose, chiaramente, per il resto c'è internet a vostra disposizione. Temo che forse qualcuno di questi video potreste non visualizzarlo perchè c'è quella fottuta censura di youtube di mezzo. Mi spiace molto.

Tma / svetlo / tma (Darkness/Light/Darkness), 1989






Dimensions of Dialogue: Exhaustive Discussion, 1982




Dimensions of Dialogue: Passionate Dialogue, 1982






Dimensions of Dialogue: Factual Conversation, 1982






The Pit, the Pendulum and the Hope, 1983





Historia Naturae, Suita, 1967





Food, 1992 (parte 1)





Food, 1992 (parte 2)



http://it.wikipedia.org/wiki/Jan_Svankmajer

(nel)L'occhio del ciclope

Sezione Video d' Arte e Miraggi.

Questo è un luogo dove mi riserverò di aggiornare informazioni sui multimedia caricati ogniqualvolta abbia nuove da condividere. Per facilitare lettura e visione dedicherò una breve monografia ad ogni regista, uno per etichetta, con  i suoi lavori.

Il tempo è poco e la molteplicità di quel che il singolo occhio ciclopico (telescopico) della cinepresa cattura è tanto. Perciò, di seguito i gentili ospiti.




lunedì 14 febbraio 2011

Maestro?

 Per la categoria, inserirò videoclip et similia di ciò che ritengo degni di nota per quel che riguarda i miei gusti, corredati di qualche pensiero. Sì, sono logorroica. E ho la diarrea emotiva. Per cui seguo l'onda della sciolta e mi faccio portare dove la pancia va.
Di seguito.

 
 

Oscillations, oscillations
Electronic evocations of sound's reality

Spinning, magnetic fluctuations, waves of wave configurations
That dance between the poles off sound and bind my world to soul.

I walk the streets of moment. Head down to the ground.
Cars are stars remotely far. My only world is sound.
Passersby are worlds that fly. Far from the dance of time.
Time whirls round from pole to pole and swirls within the sound's of

Oscillations, oscillations
Electronic evocations of sound's reality .

Il duo newyorkese lo conosco da poco, nonostante siano attivi da quel po' (precisamente dal 1967 al 1969, nonostante Coxe abbia provato a riproporsi nei tardi anni '90 ma con poco successo), e li conobbi per errore perchè stavo cercando dell'altro. Geniali nella costruzione del loro strumento, un dispositivo di controllo composto da nove oscillatori e ottantasei potenziometri (o knob di range per la modulazione che dir si voglia), suonabile con tutto il corpo: mani, piedi, gomiti, ginocchia. Vi ricorda per caso il Theremin? Beh sì, ma all'ennesima potenza, e con diverse qualità sonore non avvicinabili a quelle che il Theremin offre. Non per discredito, sia mai, ma qui è altro affare.
Geniali, ancora una volta, nel sincretismo musicale che hanno raggiunto: partendo dalla fusione e riproposizione di elementi del krautrock, della psichedelia, del pop britannico, sono arrivati già nel lontano 1968-69 a produrre brani precursori e illuminati che sanno di synth-pop, new wave, techno addirittura, o big beat. Modernariato elettronico insomma. 
Sentitevi Oscillations e ditemi se non vi ricorda, per dire, i primi album dei Chemical Brothers, come Exit Planet Dust, Dig your own hole, o B-sides degli stessi come Brothers Gonna Work it Out. O anche altra roba di Fatboy slim.
O anche alcuni esperimenti di Squarepusher con le sine, i ricampionamenti, le modulazioni e le interpolazioni varie, e non elenco canzoni che sarebbe troppo lungo nel caso specifico ma, teniamo presente, è tutta gente che l'ha fatto quasi vent'anni dopo.
Evviva i pionieri.

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Ammetto che Il Teatro Degli Orrori è la mia ossessione musicale del momento. Ammetto che i testi mi raccontano come non mai, ammetto che la voce di Capovilla mi sconvolge l'anima, e gli arrangiamenti di Favero e Mirai mi fanno impazzire.
Lezione di musica è solo una fra le tante per le quali ho pianto vedendoli in concerto, così come per Il turbamento della gelosia, La vita è breve, Majakowskij. Santo cielo, Majakowskij. All'amato me stesso, sì.
Folgoranti. Se potete fatevi questo viaggio fra i loro album, che ne vale la pena. Se non altro avrete conosciuto qualcosa di diverso.
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Lowride degli Autechre è da sempre una delle mie canzoni preferite. Che dico, canzoni? Ah, come mi colgo in fallo. Composizioni elettroniche. Sebbene l'album sia del 1993 (Incunabula, Warp Records), è tutt'ora non solo estremamente contemporaneo, ma direi ancora anticipatore di certe prossime tendenze. Curato in ogni dettaglio, rappresenta uno degli apici qualitativi che in assoluto la musica elettronica possa raggiungere. Bah, questo poi è quel che penso io, mica dovete essere d'accordo. Cristo ma vi rendete conto di quel che sto scrivendo? E' vergognoso. Pare che sia un critico della EMI o giù di lì.

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Perpiacere, la traduzione fa schifo. Ma la canzone, perdìo, come apre l'anima. Ho sempre amato Johnny Cash, vattelapesca del perchè. Perchè è onesto, sincero. Ascoltatevela che è meglio. Inutile parlarci sopra.
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Il Gulliver è LA canzone. Macroonde. Questo maledettissimo, incessante, incomprensibile, inafferabile, interminabile: espandersi. Non c'è freno e l'atmosfera la respiri, le senti intorno come vibrazioni sismiche, come se la qualità dell'aria si facesse di diversi strati di densità. Un viaggio, davvero, come quello di Swift -fottuto geniaccio- quando scrisse I viaggi di Gulliver. Diciamocelo, non è solo una questione di ego, è che prepararsi da sè gli ingredienti del proprio trip è tutta un'altra soddisfazione. Io le macroonde so cosa sono. Lo so eccome.
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Non rinuncio alla progressive. La città sottile rimane uno dei miei pezzi preferiti del Banco. Il perchè? Stolto crapulone e pigro, sentitela! E poi lo capisci, il perchè.
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Altro spirito, altro genere. Puff Dragon lo scopersi per caso, e fu amore al primo ascolto. Sebbene dello stesso album (Sazanami, 2005) sentii  in quella occasione solo il singolo Chinese Radio e subito mi piacque, prediligo  Marine Drive  giacchè dichiarazione fatta suono del bisogno di spazi aperti, lontani, profondi, atmosferici. Sì, è la track che preferisco.

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Francesi. A loro l'elettronica esce così, come fosse naturale. Initiate II non è solo un bell'esempio di elettronica melodica (più che sperimentale, come nel caso degli Autechre) ma anche una canzone d'amore con un bel testo, che parla principlamente di rispetto e di attenzione all'imparare e insegnare al proprio partner come si è, e quel che si desidera. Tenetelo a mente.

Santità, Martirio, Epifanie, Fato

"Bene-bene", disse il dottor Trabacchio fregandosi le mani.

Hai presente Ignazio Denner? Quel degenerato brigante satanico, uscito della mente perversa e finemente cesellata di Hoffman? Certo che ce l'hai presente.
Nel caso non fossi fresco di lettura, il dottor Trabacchio è suo padre.
Uno Shaitan ladro e lestofante, pronto a sacrificare ogni cosa, figlio compreso, per la causa della sua ricerca. Per il suo egoismo, per il suo benessere, per la sua cupidigia, per tutti gli aspetti negativi che fanno di lui quel che è. D'altronde, come ogni Satana che si rispetti, oltre alla malcelata indegnità morale ed etica...egli è medico, e cura senza nulla chiedere ogni malato. Ti par poco? E' scienziato illuminato e saggio venerando nella sua arte. E vi riesce perchè sacrifica i suoi figli (a parte Ignazio, misericordiosamente messo in salvo dalla madre) per ottenere dal loro sangue il medicamento.
Vedi, il dottor Trabacchio è il male incarnato, i vizi, l'occulto, l'oscuro, il malevolo.
Ma prima di tutto è un uomo che rinuncia ad ogni amore umano per amore di conoscenza, per il dominio di poteri segreti, per l' accesso ad aree sconosciute del pensiero e delle energie.
Tutto questo ha un costo, che Trabacchio traduce nella perdita di compassione e di umanità.

I Santi, quasi tutti martiri, pagano anch'essi allo stesso modo, oboli e oboli di sofferenza. Spingono la loro vita verso il male fisico per ottenerne un beneficio spirituale. Essi al contrario del dottore esaltano le qualità a lui mancanti  fino ad un punto estremo, per la Fede. Il martirio è la forma di insegnamento attraverso la quale imparano ed accedono alla santità. Non dimentico certo Girolamo, Agostino e chi più ne ha più ne metta, uomini di cultura e illuminati non solo dal martirio ma anche dalla propria sete di sapere, ma il mio discorso verte su altro.

Le Epifanie sono manifestazioni del divino o del malvagio (e datemi della manicheista, suvvia), o comunque di dimensioni altre, rappresentazioni  di energie archetipe in forme comprensibili alla percezione -più corretto dire alla semiotica iconologica- dell' uomo.
E proprio perchè aprono uno squarcio su una dimensione altra, portando consapevolezza, solitamente cambiano la visione del mondo e delle sue regole, una volta manifestatesi.
Mefistofele che porta il contratto a Faust, l'arcangelo Gabriele che sussurra la maternità all'orecchio di Maria, tutti eventi che cambiano il normale corso delle cose, che alterano il percorso di vita di persone assolutamente normali (benchè elette) donando loro una coscienza\conoscenza che gli impedirà di ritornare allo stato di ignoranza precedente.
Una volta che vedi, sai. E non puoi tornare indietro.
Una volta che hai mangiato la mela dell'Albero della Conoscenza, sai.
E il risultato, noto anche ai poppanti, è la cacciata dall' Eden. Si viene sostanzialmente espulsi da quel luogo dove tutto è pari, uguale, tranquillo, benevolo, materno se vuoi, perchè con l'accesso alla conoscenza non si può più percepire tutto come indistinto.
E' il tuo pegno, per sapere devi abbandonare ogni stato o luogo mentale precedente, in un continuo nomadismo. Separarti, partire, e indietro non si torna.

E si arriva così al Fato, alla predestinazione. I sistemi di segni con il quale una Volontà superiore comunica il proprio intento all' uomo, sono solitamente a disposizione di eletti (sulla quale la stessa finisce per agire) la cui sensibilità è maggiore rispetto ad altri. Essi hanno cioè un destino particolare che li porterà verso lidi non comuni. La loro fatica sarà ricompensata, ma ciò invece d'esentarli dal duro lavoro e dalle pene, gliene comporterà invece in maggior misura e di straordinarie.
La somma conoscenza richiede il sommo pegno, per farla breve.
Altri invece, con la loro testardaggine o la loro cecità, si costruiscono infausti cammini di vita che chiamano destino ma che in realtà sono l' opposto: rifiutano stolidamente di imparare la lezione che viene loro impartita, rinnegano l'alfabeto mediante il quale gli viene suggerito, non imparano dai propri errori nè da quelli d'altri. Soffrono ugualmente, ma senza ricompensa. Ovviamente.
Riflessione prosaica e alquanto prolissa, concordo, ma necessaria per i disegnucci qui sotto. D'altronde, se non ti va di leggere, guardati solo le figure. Nessuno dice niente, libero di scegliere.

E tu, paghi la tua conoscenza?
Quanto la stai pagando?
Perchè se non la paghi cara, è di cattiva qualità.




[Yuhanna Ibn Sarjun - San Giovanni Damasceno]

Il ragazzo è uno in gamba. Beh, ha perso due mani, ma tutto sommato ne ha guadagnato sia in braccia che in aureole.



[Ex Cinere Resurgo]

Dalla cenere risorgo. Sono pur sempre un Lazzaro, no? Imparentato geneticamente con l' Araba Fenice. Sicchè la mia aureola è un ovulo, e lo spermatozoo che mi feconda è il serpente che tentò Eva. 
Da questa coscienza rinasco. Ma non senza dolore: subisco anche io il mio piccolo martirio: una corona di spine cinge il braccio destro, il braccio tentacolato con il quale disegno. 
Autobiografico? Per certo.



[Not Necessarily F8 is 7]


Come dire, alle volte ci si sente il fallimento sul collo come una di Damocle spada
Un Fato contrario, un destino che non si comprende o ci allontana dal nostro desiderare.
E' una condanna, un' autoflagellazione, una presa di coscienza, una paura sfogata, una speranza, un cenotafio nel quale mi sono sepolta ancor viva. 
Situazioni della vita, l'autobus che passa in anticipo, il the delle cinque con la zia stronza, fiducia malriposta in persone a te care, il sedile del cinema zuppo di cola, un amore che perdi, bla bla bla. 
Santoddiocel'avetegliocchi. 
Fatevene anche voi quel che vi pare.

Gli ultimi saranno i primi

E difatti rispetto la solita regola, come sono banale. Bando alle ciance, gli ultimi parti (e non party) del mio sconvolto occhio offerti in sacrificio per voi, per la nuova ed eterna allenza [...].


[King Nothing]




Sìssì, una non poco vaga reminiscenza di The Cell di Tarsem Singh. Non ricordo nemmeno il santo che fu sottoposto a cotal martirio, fatto sta che questo bel Re di Nulla (e mettiamoci anche i Metallica) non sta esattamente estraendosi senza colpo ferire gl' intestini, bensì sta recidendosi il cordone ombelicale. 
Bisogna pur crescere prima o poi. 
Separarsi dall'Eterna Madre. 
Essere un sole in piena notte.
Dimenticare, cessare, apnea, il mare profondo e buio. 
Qualcosa mi accoglierà, ovunque vada.
Buon viaggio.



[Death Mask -Sewing Herself Face-]




Tutti si ha una faccia. Alcuni più d'una peraltro, tanto che finiscono col perdersi dietro il conto delle loro mille identità, dimenticandosi di vivere sè stessi. Ogni tanto dovrei abbassare l'indice, o a furia di sputar sentenze prima o poi qualcuno me lo spezzerà. In ogni caso, andavo chiedendomi che faccia mai potesse avere una Morte (una, sì, mica tutte. E' diversa per ognuno, no? Mah. Non sono ancora morta, non ve lo so dire. Ne riparleremo dall'altra parte), e come la usasse. Come fosse una protesi probabilmente. Non è poi tanto distante dai piccoli umani di carne e ossa, la Vecchia Signora, perchè anche lei come ognuno di noi ha la sua maschera. 
E allora penso a Poe, alla sua Maschera della Morte Rossa, o ancora alle maschere funerarie egiziane, etrusche, precolombiane, e così via. Hanno certo più senso, questi decori funebri, delle insulse lapidi anagrafiche dell'uomo moderno. Che importa, il nome, la data...la faccia importa. Mostrami il tuo volto, non la giustificazione dattilografica della tua esistenza. Voglio vedere la persona, non una accozzaglia di dati.
Forse che ognuna delle nostre facce è in realtà una faccia della Morte, che abbiamo solo in prestito e che essa si riprenderà? 
E' forse proprio il perdere questa faccia che ci fa morti? 
L'annullamento dei tratti somatici come annullamento della personalità?  
E se essa nella notte (con tanto di falce di luna) se ne sta lì a cucire e creare facce, non è in questo senso anche generatrice di nuova vita?
Ecco perchè lo specchio, miei cari, vi riflette apparentemente vivi. Bugiardo!

[...] la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú. [...]  Epicuro, Opere.



[Autoritratto dell' Una e Ventitrè]



La notte mi appartiene. 
Mi culla, mi picchia, mi sevizia, mi consola, scava nelle mie disperazioni, aggiunge legna secca al mio fuoco, mi isola, m' avvicina a luoghi sconosciuti, mi allontana dai ricordi o me li sbatte in faccia. 
O forse è troppo vino, la vodka (e il suo spirito di patata, ah-ah-ah), Matthew Herbert & the Big Band, e sovrappensiero (Bluvertigo) torrenti di immagini vissute, particolari che non pensavo di poter ricordare, e puoi fregare gli dei, fregare gli dei, macroonde. Ma ho sempre preferito dire: "puoi fregare gli dei, fregare gli dei, ma non me".
Sono invecchiata improvvisamente di un migliaio d'anni, riprendendo la mia vera forma.
I capelli bianchi non li conto più, le rughe nemmeno.

Sono sempre stata vecchia, e gigantesca, fatta di roccia e di nebbia.
Ho ceste e ceste e bauli e sotterranei e soffitte e case abbandonate e castelli diroccati e fosse e latrine e angoli di cielo pieni di cose mie. Di quel che ricordo, di quel che ho provato, di quel che ero e non sono più, di quel che sono e che voi non vedete.
Mi piace il buio, me ne esco la notte e prendo la mia vera forma. Vagolo per campagne solitarie, enorme e silenziosa, senza che nessuno mi veda. 
Sono vecchia. Arcaica.
Caro Matusalah , spartisco la mia dentiera con te.

Sono vecchia. Molto più di te. Sono Trismegistamente vecchia. 
Lazzaro Trismegisto, ossia "Lazzaro Tre volte Più Grande". Hai idea di quante volte sono morta? E di quante sono rinata?
Fatti un po' i tuoi conti.

All' Una e Ventitrè sono Io, solo Io, e nessun altro.


Avendo per Tempo saputo Melancolia tanto ampia, avrei oppiato il suo sonno d'illusioni ancora, senza por Tempo al Tempo di cavarmi gl'occhi con le sue paure, adempiendo a suo Tempo il mio Real desìo.

E se di buia notte mi cingo, d'altri non fu biasimo, se non mio.

Spalancate le porte (della vostra percezione)

Nota Introduttiva.

Qui ci metto quel che mi pare. Quel che mi riguarda personalmente o meno, quel che mi passa per la testa, quel che mi stuzzica la curiosità, riflessioni, spunti, suggestioni, sogni, incubi, speranze, fallimenti, esperienze, punti di vista, bisticci e bestemmie, preghiere e santità eterogenee.
Non mi interessa di mostrare al mondo il mio animo sensibile e patetico. Desidero solamente condividere la fantasmagoria che mi abita l'anima attraverso le varie forme di comunicazione che mi appartengono, quali arte in generale, scrittura, poesia, eccetera. E attendo di vedere cosa ne esce dal vostro immaginario. Un blog empirico, se così preferite chiamarlo: sperimento effetti di visioni personali su altri e viceversa i mondi d'altri su di me. Vivo. Non chiedo nulla: chi vuole partecipa.

Se ti va, fermati.
Leggi, spulcia, guarda, indignati, offendimi, riappacificati, fai quel che ti pare.
Questo posto lo arredo io ma se vuoi può essere casa tua.
Dimmi pure quel che pensi, combatti con me o contro di me a colpi di sogni, cultura, filosofia di vita, ricette di cucina, barzellette sporche, la spazzatura che hai nel cervello. Quel che ti pare.
Altrimenti, cambia pagina: il mondo è grande. Internet, illusoriamente, anche.