sabato 9 maggio 2015

Della rinascita

E sarà pure che non ho ancora attraversato le fasi del lutto in toto che già sto parlando di rinascita.
Ma come sopravvivere ad un progetto abortito, ad un sogno infranto, ad una gemma sottomessa dalla prima grandine primaverile?
Che fare.
E rimane un bell' universo di "se" di "ma" di "però".

Illuminazioni Rimbaudiane.
Inferni Baudelairiani.

O come cazzo si scrive.

Alle volte credo che tanta parte del nostro lutto, dell'accettazione di un fallimento, sia in realtà la reiterazione (più che una esperienza vitale) di una sorta di sterile modello di educazione sentimentale flaubertiano, non la cosa in sè, non così chiaro e diretto ma molto più esteso,diluito,
infingardo,
 -il dito e la luna -,
nascosto in tante storie contenute dalla letteratura.

Ecco, se non fossimo animali che leggono,
sapremmo come affrontare cotal situazione?
O meglio: ci comporteremmo così, se non fossimo letterati?

Perchè siamo tutti parlati, e non parliamo,
come diceva non ricordo chi.

Perciò, cosa ci rimane di puramente, veramente genuino, nell' affrontare un dolore?
Di umano, animale, di profondo e sincero.

Chè una costante mediazione metafisica dell'esistere ci condanna a pensarci e a ridefinirci in nuovi canoni, che è bene per quasi tutto, tranne che per le poche cose che avremmo, forse, bisogno di vivere istintualmente.

Il positivismo è una piaga che dona prospettive razionali, escapologiche ed escatologiche, grande e panoramica nel suo distinguere e ordinare; e toglie calore "cosale" all' ente noumenico di ciò che in realtà siamo.

Divisi fra natura ontologia e deontologica in senso kantiano.

Che ci rimane, se non il compassato lamento letterario, educato, raziocinante del civile?

Nemmeno l'uomo, in quel civile.

Non siamo forse liberi nemmeno di disperarci e piangere, dissolverci in quella catarsi che ci spetterebbe di diritto.

Se fossi un animale, vorrei poter piangere.
Piangere davvero, come si faceva da bambini piccolissimi.

Piangere, purificarmi in quelle lacrime.

Sfogare, sfogare, non abbrutirmi in sostanze e tranelli razionali, non creare artificiosi appigli di "se" e di "ma" come quindici anni di scolarizzazione mi costringono a fare.

Rinascere, forse, potrebbe essere possibile anche adesso.

Lasciarmi essere, animalmente, triste per questa perdita.
Senza dovermi perforza confrontare con essa, semplicemente accettandola.
Senza giustificazioni.


Il  problema è che so,
una volta di più,

che è ancora la ragione educata a parlare per me.