domenica 29 giugno 2014

Allegoria \ Tra lei e lei

Nel mezzo della conversazione, pensò che era il caso di lasciar perdere.
Conversare, poi, cosa significa veramente?
A parte il mero scambio di informazioni funzionali, intendo, quali <<serve lo zucchero>>, <<gira a destra>>, <<ti cercava Paolo>>, quando è che veramente si ascoltano le ragioni dell'altro, si comprendono, si cerca di interagire col suo sentito?
Forse, se accade tre volte in una intera vita è tanto, ma non per cattiveria, per i limiti umani.
Perciò decise di sbrigarsela dicendo semplicemente “hai ragione sotto tutti i punti”, e di andarsene quanto prima da quell'errore di traduzione.
La verità, se mai ne esiste una univoca anche per il singolo, che è ogni giorno abitato da diverse personalità, è che quel che aveva dentro doveva perforza tenerselo.
Così tagliò corto, e dopo aver messo velocemente il cappotto, con un falso sorriso di ringraziamento sulle labbra, uscì nella pioggia.
Era estate, piena estate, ma le temperature erano molto basse, quasi autunnali, a causa del lungo periodo di maltempo che perdurava da ormai due mesi.
Camminava lentamente con lo sguardo rivolto al porfido del marciapiede, senza tuttavia vederlo.
Si rendeva conto che la libertà è una cosa che nessun uomo può abbracciare completamente, veramente, e si sentiva schiacciare da questa idea: cos'è la libertà, se persino la persona più cara e più vicina può venire a dirti che non sei libero di essere te stesso nemmeno in sua compagnia. Cos'è, se poi “l' uomo non è un' isola”, e pertanto è costretto alle dinamiche sociali?
Cos'è, se neppure nell'angolo più intimo del suo sé, percepiva che neanche con il pennello tra le dita poteva accarezzarla?
Difficile, difficile, inghiottire la saliva con tale nodo in gola.
Tante incomprensioni.
La storia dei dialoghi dell'uomo, dalla nascita della prima parola in poi, è fatta di fortuite coincidenze nella traduzione di lessemi.
“Parliamone”, perchè mai?
Di cosa possiamo parlare, veramente?
Con quale grado di padronanza dell'argomento?
E tutto diveniva confuso, ancor più nebbioso e guizzante, nella sua testa.
Provò a sedersi su una panchina umida, sotto un albero, per accendersi una sigaretta.
Il fumo procurava una certa consolazione, in quei momenti.
Mentre osservava le volute di fumo allontanarsi, ripensava alla discussione appena avuta e ripassava vagamente alcune nozioni di filosofia che avrebbero potuto emergere da essa.

Volontà di potenza.
Piacere misurato.
L'esistenza è piacere.
La democrazia non è mai esistita.
La società dello spettacolo.
La società delle ideologie.
Percezione del sé.
Critica al capitalismo.
I regimi totalitari.
I regimi totalitari morbidi.
Il libero pensiero.

Una piccola parte del suo cervello era intento ad esaminare la possibilità che, essendo tutto un gioco di scatole cinesi, forse e per davvero il punto di vista può cambiare intere porzioni della storia umana.
Si chiedeva se fosse possibile, come ritengono certe culture, che effettivamente non siamo noi i sognatori, ma siamo sognati dal sogno.
In che direzione vanno, tutte queste affermazioni che ogni giorno l'essere umano produce?
Scienza, cultura, antropologia, spiritualità, economia, finanza, arti, società, politica...dove vanno?
Cosa delineano?
E perchè tutti cercano di sbrigarsi per arrivare lì più in fretta?

L'inseguimento dell'ignoranza è l'unica cosa che emerge chiaramente da questa serie.
Certo non si persegue la conoscenza, che è talmente poca.
Si insegue l'ignoranza, sicuramente, per affrontarla e diminuirla.
Come se ci fosse una finitezza, in questo.
Come se un domani un uomo infinitamente saggio, dopo il caffè mattutino, penserà l'ultimo pensiero pensabile, distruggendo così l' ultimo atomo di ignoranza rimasto.

Avverrà mai?
Non credo.
Non ascoltare il mondo, mi dicono, autodeterminati.
E come? Non potrei mai farlo, perchè avrei per strumenti chirurgici solo quelli che ho imparato dal mondo attorno a me.
Come potrei inventarmi una lingua solo mia, in cui parlare solo a me, poter pensare cose solo mie?
Puramente mie?
Non posso.
Non si può.
Il peccato (del pensiero) originale, tanto da dover maledire una intera specie per sempre.
Ma fino a qualche tempo fa, l'aveva pure intravista, la sua strada. Sapeva in che direzione andare.
Che ne era stato di quella visione?

E' che poi accade la vita, suppongo.
Le cose non sono andate esattamente come pianificato.
-Ma non avevi detto di non avere altra scelta che percorrere quella strada?
-Sono stanca. Non so se mi interessa più. Certamente ho più frustrazioni e malessere da quel che ho sempre creduto di amare, di riconoscere, piuttosto che ricavarne gratitudine quando lo pratico.
Si alzò un vento forte e fastidioso, freddo, da ovest.
Con l'espressione seccata, si rimise in cammino, senza avere alcuna meta.
Intanto, la sua testa pesava i passi giudicandoli molto simili all'esistenza umana, diretta verso non si sa bene cosa e perchè, costretta, per avanzare, a perdere ogni volta l'equilibrio, la certezza storica e politica, sociale.

Che poi, anche sull' “avanzare” ci sarebbe da ridire.
Il tempo lineare è una invenzione tanto giudiaco-cristiana che scientifica, una convenzione relativa esclusivamente alla nostra condizione esistenziale.

Sospirò malinconicamente, mentre guardando secchi rami si sentiva un quadro di Friedrich.
Qualche passo dopo, si rese conto d' essere tornata sulla stradina di sassi che conduceva a casa, e guardando in lontananza i muri grigi della stessa, realizzò che non avrebbe potuto scappare.
Mai.
Da sé stessa, dalla sua storia, dal punto nello spaziotempo che l'evento della sua nascita aveva disposto per lei -ovvio, senza alcuna volontà personale: il Fato non centra-, dal suo malessere e dai suoi stessi pensieri.
Non avrebbe potuto scappare, né affrontarli, perchè non erano demoni.
Non avrebbe imparato ad accettarli, perchè dissonavano troppo, nel momento in cui riconosceva le loro stonature nel regno dei suoni che è la vita.
Che fare?

Se l'aveste vista dalla finestra del piano superiore della sua casa, avreste potuto osservare la sua figura invecchiare a vista d'occhio nel corso di qualche minuto, le spalle scendere in avanti, la schiena curvarsi, il volto indurirsi, gli occhi spegnersi.
Poi, con passi lenti e stanchi, l'avreste guardata mentre si incamminava verso casa, e avreste saputo che sì, non potendo fare nulla,
non avrebbe fatto nulla.


martedì 10 giugno 2014

L' Altro

Quanto poteva dire di conoscerlo?
Bene, benissimo, assolutamente per nulla?
Se ne stava lì, seduto di fronte a lui, guardandolo con una faccia tra il disgustato e il beffardo.
Era incassato malamente sulla sedia coi braccioli, dall'altro capo di un tavolino che era un cimitero di bicchieri svuotati.
Aveva i capelli sporchi, unti, aggrovigliati, la pelle grigia e tesa, una espressione di odio rabbioso in faccia, e stava immobile a fissarlo.

Che cazzo vuole quello.
Che cazzo guarda.
Soprattutto, chi cazzo è.

Abbassa lo sguardo sul tavolo, si fissa le mani nodose.

Non doveva andare così, non doveva succedere.
Non era questo che volevo, ho cercato di evitarlo con tutte le mie forze, eppure è successo.
Non è giusto.

Un senso di fuoco e acciaio gli riempie il petto, ha una caldera al posto dello sterno, e lui sa, lo sente, che non potrà contenerla ancora per molto.
La morsa lo attanaglia ferocemente come l' impietoso artiglio di un rapace divino, che non ha niente di terrestre, e non potrà mai comprendere altro se non il capriccio della sua volontà, e stringe, stringe, con gioia crudele.
I pensieri turbinano come rapide di bruciante metallo fuso.
No, nessun corpo può resistere a tanta violenza emotiva.
Il suo piccolo cuore ha cercato di resistere, ma è ormai allo strenuo delle forze.
Abbandonarsi all'ignoto dell'annientamento totale, quella sarebbe la pace, finalmente.

Non potevo fare più di così.
Io lo volevo.
Ho fatto veramente
Tutto
Ho cercato di raggiungere quella meta, quella meta, quella meta...

Ora anche il respiro si sta facendo difficile.
Perchè, diomio, quanto possono essere profondi e immani i pozzi di un' anima!
Resistere, non gli importa più.

E allora tracanna un'altra sorsata di quell'intruglio maledetto che gli spacca lo stomaco,
sperando di trovare almeno un istante di intorpidimento nel prolungato preliminare al suicidio.

Invece no, quella scende e crea solo nuove ondate di odio.

Perchè.
Ho fallito, fallito, fallito.
Perchè.
Luce di illusioni.
Non voglio più dormire, non voglio più guardare le stelle, non voglio più niente.
Forse
bruciare all'inferno, questo voglio.

Lo sguardo è appannato, ma è una lama di diamante che perfora i veli della realtà.
Ha capito, certo, ma a che costo?
A che serve, poi, capire.
Cerca di non respirare, e alza gli occhi al soffitto.

L' Altro è ancora lì, sempre più ammuffito, e marcio, e malevolo.
Sta di fronte a lui, come una macchia di nero biasimo.
Lo fissa, lo deride.
Lo seziona con odio cieco.
Sempre più curvo e sciolto sulla sedia sghemba, lo guarda con quei due feroci buchi di nulla che ha al posto degli occhi.
Ah, lo si vede distintamente, il biasimo.
L'Altro sa che è colpa sua.
E' colpa sua e lo perseguiterà.

Che cazzo ha da guardare.

“Che cazzo hai da guardare, Cristo!”

L'altro, per sfotterlo, muove le labbra senza emettere un suono, poi lo guarda stralunato come se non avesse capito una parola di quel che lui gli ha detto.
La voce era già rotta, disperata, schizofrenica.
D'altronde, da un petto fatto di cavità oscure e coltelli di vetro, che voce poteva mai uscire?

Ma l'Altro sta in silenzio, e ricambia lo sguardo inquisitorio.
Passano lunghi minuti senza che nulla cambi.
A parte il sentimento di malessere di lui.

L'ubriachezza è già oltre la soglia di controllo, ed è una bestia cattiva.
Lui guarda il suo bicchiere vuoto riempirsi di liquido versato dall'altro suo braccio, senza che egli abbia avuto nemmeno il tempo di desiderarne.
Ormai è automatico,
stiamo bevendo per morire.

E pensare che avevo investito i miei anni migliori.
Ci avevo creduto.
Eccome se ci avevo creduto, era tutto quello che volevo.
Ho incessantemente sottoposto me stesso ad esercizi di volontà, per migliorare.
Per essere degno.
Quanto, quanto, quanto lavorìo indefesso dell'anima e del cervello, per raggiungere lo scopo.
E ho fallito così miseramente.

Scivolato nuovamente nel gorgo dei pensieri melmosi e acidi, egli passa interminabili attimi a fissare il fondo di un bicchiere che è come una baia in preda alla tempesta, che si svuota e riempie della rabbia dei marosi in pochi secondi.
Poi si ricorda dell' Altro, e solleva gli occhi per controllarlo.

E l' Altro è ancora lì, a fissarlo con quello sguardo così irritante, che gli ricorda di aver fallito miseramente. “Povero scemo”, sembrano dire i suoi occhi odiosi, “povero scarto reietto dell'umanità”.
Lui sente i suoi occhi ingrandirsi di odio cieco, e fissa l' Altro cercando di ucciderlo violentemente con lo sguardo.

Quanto cazzo ti odio.
Chi sei?
Che cazzo vuoi?
Merda!
Io ti uccido, merda!!

Gli si contraggono le mandibole, il suo stomaco si mette a lanciare fulmini e la sua testa si riempie di sangue acido e bollente.
Sente che sta per scoppiare.
Chi è mai questo fantoccio osceno che ha davanti, che lo deride crudelmente?

Pure, egli si accorge che l' Altro non è affatto sciocco o gratuito, nella sua derisione.
E' crudele. Per magico dono, l' Altro riesce a seguire i moti della sua anima per beffeggiarlo meglio.

E i due rimangono a fissarsi per lunghi minuti, di nuovo, con odio cieco e omicida.

Ma il bicchiere è vuoto, e Lui sente il bisogno di affogare nella peggior sostanza che possa esistere, non per espiare, ma per soffrire.
E ne versa, inasprito dall'atteggiamento dell' Altro, altri cinque, sette, nove bicchieri.

Ancora, fiumi di detriti e intime delicatezze che si infrangono con potenza deflagrante sul muro della sconfitta.
Lui sta sudando, sente il fegato pungere senza sosta, vorrebbe strapparsi i capelli e poi grattare, scavare nelle ferite con le unghie, fino a raggiungersi il cranio, e poi frantumarlo stringendo polso contro polso.
Lentamente, in modo da soffrire di più.

Come cazzo è potuto succedere, come ho potuto crederci, come ho potuto crederci, come ho potuto fidarmi, come...come...
Eppure ero certo che sarebbe stata la mia Vita, ero certo che fosse vero, che fosse la fortuna più grande d'ogni Uomo che sia mai esistito sulla Terra, e che fosse capitato a me, miracolo, e io avevo lavorato così duramente per esserne all'altezza, perchè sapevo che poteva esistere, e invece mi sbagliavo, dio, quanto sbagliavo, come ho potuto essere così stupido,
stupido,
stupido!

La bottiglia non urina più il suo veleno.
Lui riesce a far tanto, nella sua condizione delirante, di ordinarne bestemmiando un'altra.
Il veleno riempie di nuovo il bicchiere, che senza posa si svuota.
La sua testa ormai farfuglia solo atrocità insensate, e partorisce immagini di grottesche e ininventate torture per punirlo, o compiacerlo.

Sbavando, senza riuscire a controllare i movimenti della testa, lui alza appena un po' lo sguardo, e vede l' Altro che nel frattempo non ha smesso un solo istante di scimmiottarlo.
Ora la sua faccia sembra una collezione di secrezioni gastriche, odiosa e malvagia, piena d'odio forsennato, che gli risponde con lo sguardo vuoto.
L' Altro, bisogna ammetterlo, ha un certo talento mimico: sta piegato sul tavolino, sbavando come Lui, e continua a deriderlo senza posa.
E' un manichino della pazzia, un congegno diabolico, un guscio svuotato e riempito di ogni cosa spregevole e perfida.
Lo sbeffeggia senza mai smettere, è nato per quello.
Lui cerca di riguadagnare un momento di lucidità, senza risultato.

Ti odio.
Quanto ti odio.
Ti uccido. Tanto non ho nulla, non ho mai avuto nulla, me ne sono solo stupidamente illuso per un periodo.
Io non ho mai avuto nulla, mi stava solo mentendo.
Non aveva mai avuto serie intenzioni.
Che ho da perdere?

“Pezzo di merda schifoso, io ti uccido!
Ti ammazzo, ti sbudello, ti squarto e mi lecco le dita sozze delle tue interiora!
Ti spacco il cranio a sassate!
Maledetto, ti strappo la lingua a morsi!
Ti cavo gli occhi per darli ai corvi,
Ti estirpo la spina dorsale e me ne faccio un flauto!”

Solo allora si rese conto di urlare contro l'Altro, che stava in piedi come lui dall'altra parte del tavolo.
Stava urlando a perdifiato, sentiva la voce uscirgli dalla bocca impastata come una lama spezzata e ruvida, gli tuonava fin nello stomaco e gli premeva i bulbi oculari.

L' Altro, per risposta, non faceva che ripetere ogni azione di Lui, come un burattino malefico che inscenasse un dramma inutile.

“Io ti sgozzo, ti odio! Ti odio!”

Ormai definitivamente perduto, Lui raccolse tutta la forza esacerbata e nervosa che aveva in corpo, e si lanciò contro l'Altro con tutta la violenza che il suo corpo gli permetteva, per prenderlo a testate.

Colpiva, colpiva ciecamente, e vedeva stelle e forme colorate stagliarsi contro un buio doloroso, e non riusciva a smettere. Colpiva, affondava, e sentiva un odio senza fine, sentiva il sangue gocciolare e il dolore crepitare come fuoco, e allora ci dava dentro ancor di più, e sbatteva con tutta la violenza che aveva dentro, con tutta la disillusione che gli aveva squassato il petto, sfogava tutta l'amarezza del fallimento, della sua ingenuità, la vergogna dell'aver creduto.
E con forza inverosimile sbatteva, sbatteva, sbatteva la testa dell'Altro contro la sua, con un odio senza fine, mai sazio, mai più placabile.


Quando arrivò l'ambulanza, chiamata dal barista, quello che i medici trovarono fu un uomo con la testa sfracellata, materia cerebrale sparsa ovunque sul pavimento
e sullo specchio cui l'uomo era seduto di fronte.