sabato 7 dicembre 2013

Un pomeriggio

Di qua!”, urlò la donna con voce argentina.
Correva tra la selva verdissima orientandosi alla perfezione, io ne seguivo la voce perchè tutto quello che potevo vedere erano porzioni delle sue gambe nude lampeggiare tra le radici contorte degli alberi.
Siamo quasi arrivate!”.Si fermò al limitare di una piccola radura, muri verdi protesi verso un cielo bianco di luce, odore di muffa e di stantio, verde, odore di verde. Facendo qualche altro passo mi indicò un punto al margine estremo dello spazio e vidi una carcassa di qualche quadrupede, probabilmente un cane.

Lidia, perchè mi hai portato qui? Questa discussione non potevamo farla a casa? Davanti a un bicchiere di vino, magari”.Assolutamente no”, disse lei accosciandosi sui suoi pantaloncini cortissimi, lo zaino minuscolo fra le mani,
e quanto al vino l'ho portato io, e pure i bicchieri. E siccome sono la tua amica preferita e ti conosco bene, ho portato pure i fuochi d'artificio”, disse con un sorriso malizioso, mostrandomi una busta d'erba che aveva in una delle tasche della borsa.Presi la busta d'erba e cominciai a girare una canna, avvicinandomi lentamente al cadavere.Ah, Porter. Era un cane simpatico. Dovremmo seppellirlo, e poi dirlo a Mary. Le spiacerà davvero tanto”.Tutti ci dispiacciamo per la morte. Per la morte di un animale in particolare”.

Lidia stava seduta su una roccia muschiosa, e guardava assorta i resti del cane, due bicchieri di vino nella mano destra. Tornai da lei e mi sedetti ai suoi piedi, prendendone uno dei due.
Mi sorrise. Biondissima e senza trucco dimostrava quasi la metà dei suoi trent'anni.
Sorseggiammo in silenzio, poi riposi il bicchiere su un tronco mentre accendevo la canna.
Aspirai profondamente.
Allora, che mi devi dire? Mi hai portato qui solo per Porter?”No, certo che no. Porter è stato incidentale. Ti ho portato qui per parlare un po' più liberamente di come faremmo se quella stronza della tua inquilina non girasse sempre per casa a ficcanasare. Porter però potrebbe essere un importante spunto di conversazione”.
Mi sfuggì una smorfia, sapevo che Lidia non aveva nessuna simpatia per la mia coinquilina, ma da qui a chiamarla stronza...oddio, era pur vero che origliare era un suo brutto difetto.
Momento di silenzio, altra boccata.
Sentivo l'erba bruciarmi piacevolmente in gola, come un fresco liquore frizzante.
Sentivo anche il sangue sciogliersi piano piano, scorrere di nuovo al suo ritmo normale nelle vene.
Dopo anni di assuefazione, paradossalmente ero più me stessa e più lucida quando avevo fumato piuttosto che da sobria. Passai lentamente la canna a Lidia, mentre affondavo gli occhi nella vegetazione.
Quanti strati...quanti strati di foglie, di rami, di sterpaglia, di verdemarronearanciocrarossonerogrigio, di forme, di volumi. Cazzo, è un mosaico intricatissimo”.
Lo dissi a voce alta, dando fiato ad un pensiero, senza nemmeno accorgermene.
Lidia scoppiò a ridere.
Che cazzo ridi, scema!”, ma stavo già ridendo pure io.
Mi diede una leggera pacca sulla spalla, tra il canzonatorio e l'affettuoso, la canna tra le labbra e i capelli illuminati dal sole, come se fossero un' aureola.
“ Sapevo che avresti detto una cosa simile prima o dopo. Scommetto anche che stavi per tirare fuori una analogia col mondo dell'informatica. Tipo che tutti quegli strati sono come stringhe, e ogni singolo oggetto che li compone bit di informazione.
Non è così?...Ah ah ah ah! E' così, è così!”
Ed era vero, lo stavo pensando veramente. Lidia continuava a ridere, si fermò solo qualche istante dopo per riattaccarsi al bicchiere porgendomi di nuovo la canna.
E' vero. Va bene, lo sai che ho una testa che funziona a modo suo, che ci posso fare”.Ma a me piace. Voglio dire, per quanto le tue idee siano strampalate mi piace come vedi il mondo. Alle volte penso alle cose come potresti pensarci tu, e mi sembra che acquisiscano una oggettività diversa”.Dai, non mi sfottere”.No, davvero. Ti ricordi quando parlavamo della sinestesia? Da quando l'abbiamo fatto non penso più, per esempio”, alzò il bicchiere verso il sole, e il vino divenne una coppa di sangue fluorescente, “che sto bevendo del vino. Ci sento il rosso, dentro. Il rosso cupo, quasi nero. D'improvviso ha il sapore dei temporali, e i temporali sono quelli di terre lontane, orientali, e immagino la stessa nuvola gravida di nero e di rosso scaricarsi in mezzo al deserto, dove donne velate dagli occhi neri come la notte si rifugiano nelle loro case di sabbia, case profumate di spezie grezze e tinture per tessuti preziosi. E' bellissimo...ogni sorso è un mondo.”
La guardai stupita, espirando.
Diamine Lidia, fumare non ti fa mica bene sai?”
E giù a ridere.
Ripresi il discorso: “la sinestesia è uno dei modi più naturali per vedere il mondo, secondo me.
E intendo proprio vedere, non guardare. L'accostamento e l'analogia ad un livello così stretto permettono di strutturare e incrociare sapere ed esperienza, trasformandole in una tessitura interiore...dov'è la busta? Ah ecco...dicevo?...tessitura interiore che non ha niente a che vedere con la nozione ma con il vissuto. E' più naturale.”
E' come quando impari sognando.”Sì. Sì è così.”
Ancora silenzio.
Lidia si era di nuovo assorta guardando un cespuglio poco distante, attorno al quale volteggiavano delle minuscole farfalline multicolore.
Mi misi a rollare un'altra canna, e quasi accecata dalla luce intensa che in quel momento scendeva dritta sul mio capo, socchiusi gli occhi. Annullato un solo istante il senso della vista, mi travolse il rumore dell'ambiente.
Vento leggero tra le foglie, uccelli d'intorno, il ronzio delle mosche sul cadavere di Porter.
Di nuovo quella sensazione di stratificazione. Livelli su livelli, tridimensionalità crudele e inafferrabile. Provai un momento di fastidiosa vertigine, per cui mi spostai in un angolo più ombreggiato.
Accesi la canna.
Quattro tiri a pieni polmoni, altro bicchiere di vino in scivolata.
Ne girai automaticamente un'altra che porsi a Lidia, che nel frattempo era scesa dalla roccia per stendersi all'ombra, vicino al cespuglio con le farfalle. Era totalmente rapita da esse.
Rimanemmo così per qualche altro minuto, senza nessun imbarazzo per il silenzio.
Sapevo che anche lei come me stava ascoltando i rumori.
Forse stava pensando a quello che pensavo io, agli strati.
O forse stava cercando di indovinare quello a cui pensavo.
Mi sorpresi a fissare un punto distante nel bosco, da diverso tempo ormai, mentre con un pigro e finto sesto senso cercavo di percepire Lidia stesa poco distante.
Ma stava scivolando via tutto, la mia amica mi pareva un'isola distantissima nel tempo e nello spazio, e perdersi sembrava piacevole.
Mi immersi in quella sensazione. Non era perdersi, era...era qualcos'altro...era...verde.
Stormire delle foglie.
Adesso sentivo chiaramente anche un ruscello, probabilmente nelle nostre prossimità, che mormorava qualcosa alle pietre sulle quali scorreva.
Forse pregava, o forse le stava rimproverando.
O forse ancora stava recitando il suo monologo senza preoccuparsi di loro.
Siamo...siamo alieni?”
La voce di Lidia era terrosa e sorda, mi giunse da lontano.
Eh?”Siamo alieni?” si rimise a sedere, a gambe incrociate.
Non so perchè ma pensai fugacemente che aveva un ventre perfetto per ospitare un bimbo.
Che vuol dire?”Alieni. Diversi. Provenienti da mondi diversi. Diversi tra di noi, e mai totalmente comprensibili a noi stessi e agli altri. Siamo di fuori intendo, stranieri? Siamo...separati?”
Corrugai la fronte, che mi parve fatta di catene montuose.
Mi guardai le mani come se non fossero le mie, cercando di capire il senso della domanda della mia amica.
Guardai lei. Era diventata una statua di sale, un Buddha dei boschi, ma con l'aria inquisitoria e un po' preoccupata. Espirava il fumo dal naso.
Scossi la testa cercando di ritornare un po' in me, mi sentivo completamente sparsa nell'ambiente.
Forse non ero poi così padrona di me stessa.
Lidia era immobile e mi bucava con gli occhi.
Ero la sua ancora, probabilmente anche lei sentiva di stare sciogliendosi.
Solo quando finii il discorso mi resi conto che l'avevo detto proprio io, con la voce roca e atona:
Certo che lo siamo. Siamo figli delle stelle, noi. Letteralmente. Le molecole che formano il nostro corpo si sono costituite da residui di polvere cosmica, da detriti di impatti di corpi celesti, da sostanze chimiche provenienti dallo spazio esterno che poi in miliardi di anni si sono combinate in maniera più o meno casuale fino a costituire quello che siamo noi. Non solo noi, tutto il nostro pianeta. Cerchiamo dio nei cieli, esattamente da dove veniamo noi. Ironico.
La Terra è un' astronave.
Tutto quello che contiene, animali, piante, uomini, pietre, tutto è nato da quello.
A guardare bene siamo fratelli anche dei sassi. Siamo un tutt' uno.
Vibriamo dello stesso tipo di elettromagnetismo delle cose inerti, a frequenze differenti magari, ma è lo stesso. Mai sentito parlare della teoria dei campi morfogenetici? Sai, quella che dice che ogni idea ha una sua frequenza specifica, e che ogni cervello può sintonizzarsi su quella frequenza e ricevere quell' idea. Questo spiegherebbe perchè, ad esempio, due scienziati che non si conoscono e che abitano a migliaia di chilometri di distanza raggiungono la stessa invenzione a distanza di qualche giorno. Non se ne parla, ma succede molto più spesso di quello che potremmo immaginare. Pensa solo a questo, e ti rendi conto di quanto siamo collegati. E sì, siamo alieni. Siamo separati da ben poco però. L'idea di separazione stessa è solo ad uso e consumo di chi vuole differenziare o definire i poteri. Tutti siamo un Tutto. Anche Porter.
Porter era nostro fratello, Lidia.
Siamo alieni, e siamo una sola cosa.
E pensa un po', il dio che andiamo cercando non è altro che le nostre stesse origini. Siamo noi quel dio, Lidia.”
La mia amica mi stava guardando con due occhi immensi.
Immensi e oceanici.
Si girò lentamente a guardare il cadavere del cane.
Pensavo che stesse per mettersi a ridere perchè ero stata forse troppo patetica, anche se tutto quello che avevo detto lo pensavo e lo sentivo veramente.
Sapevo che era l'unica verità assoluta che potevo dire con onestà di conoscere, di tutta una vita.
Invece la guardai mentre le si arrossavano gli occhi, e cominciò a piangere sommessamente.
Porter...nostro fratello?”, disse con la voce smarrita di una bambina che comprende una cosa serissima.Come abbiamo fatto a non accorgercene prima,” proseguì, “e non intendo solo del povero Porter...perchè adesso che me lo dici lo vedo. Vedo tutto chiaramente. E capisco anche che l'ho sempre saputo. Perchè facciamo finta di non saperlo? Questa è una colpa orribile, Diana, come facciamo a far finta di nulla? L'umanità intera, cazzo!”Lidia, adesso stai esagerando. Non sono mica la prima che lo dice. E nemmeno l'unica. Forse è che adesso sei disposta a sentire, tutto qui.”Oh sì. E non voglio dimenticarlo più.”
Si alzò da terra con un gesto incredibilmente energico, considerando come fosse atterrita solo qualche istante prima.
Mi sorrise con gli occhi pieni di lacrime.
Voglio seppellire nostro fratello. Mi dai una mano? Lo onoriamo, e facciamo per lui questo ultimo atto d'amore. Vuoi?”
Lidia, tra i quindici e i trent'anni, con un sole radioso nel petto e le sue lunghe gambe, gli occhi come oceani azzurrissimi e il volto commosso, di fronte a me.
In quel momento cancellò il tempo.
Mi allungò la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Certo, facciamolo.”
Andammo a casa mia a prendere un badile, un sacco di juta e dei guanti, in silenzio totale.
Tornammo alla radura con un senso di solennità emozionata, e sempre in silenzio scavammo una buca profonda per il nostro amico.
Sollevammo delicatamente il corpicino rigido di Porter e lo adagiammo con cura sulla juta che avevamo disposto sul fondo della buca.
Mi sentivo totalmente concentrata, con il cuore aperto e senza bisogno di alcuna difesa.
Avevo un sentimento dolcissimo dentro, che sgorgava continuamente in un abbraccio caldo d'amore per la Vita, la vita in genere e per tutte le creature.
Aspetta” sussurrò Lidia, evidentemente anche lei nel mio stesso stato d' animo, “non possiamo seppellirlo così...ci manca qualcosa. Dovremmo brindare a lui, non so, mettergli qualcosa perchè possa stare...non so, più comodo. Per il suo conforto.”
Avevamo solo vino ed erba.
Così non mi sentii ridicola a mettere tra le zampe di Porter il resto del vino nella bottiglia e quel po' d'erba nella busta che era avanzata.
Mi sembrava anzi che gli avessimo fatto un dono bellissimo.
Semplice, e bellissimo.
Poi rimanemmo a guardarlo ancora qualche istante.
Mi trovai a piangere, e Lidia con me.
Ma avevo anche un senso di pace nel cuore.
Un senso di armonia.
Eravamo in armonia, in ordine con il tutto, eppure era stato un gesto così semplice.
Ricoprimmo di terra la buca, e per ultima cosa cogliemmo qualche fiore dall' area antistante la radura, e li depositammo sul piccolo tumulo di terra.

Poi rincasammo entrambe ancora emozionate, in silenzio.
Lidia mi chiese di usare il bagno e dopo avermi abbracciato a lungo se ne andò senza dire nemmeno una parola.
Il giorno dopo andai dalla proprietaria del cane e le dissi che lo avevamo trovato morto, e che l'avevamo sepolto nella radura. La signora si mise a piangere ma mi ringraziò calorosamente.

Amavo quel cane come fosse il mio piccolino. Lo avevo chiamato Porter in onore di un fratello che persi in guerra, un fratello che amavo perdutamente.”
Le sorrisi e tornai a casa.
Il mio cuore abbracciava Tutto.







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